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il piano pandemico regionale: un’occasione da non perdere


di Bruno Masino

Si è molto discusso in queste settimane di pandemia del Piano nazionale di preparazione e risposta a una pandemia influenzale approvato in Conferenza Stato-Regioni nel 2006 ed aggiornato nel 2010 dopo la pandemia da H1N1. Su tale documento, se opportunamente aggiornato e viste le molte similitudini, si sarebbe dovuta basare anche la risposta tempestiva alla pandemia da SARS-Cov2.

Purtroppo, il suo mancato aggiornamento ha rappresentato un tallone di Achille della risposta in Italia alla diffusione della Covid-19. In un documento sulle attività del Centro Nazionale per la Prevenzione ed il Controllo delle Malattie (CCM), datato 2007, tra l’altro si parlava anche di virus respiratori e di SARS-Cov, oltre che della necessità di attuare tutta una serie di misure finalizzate a controllarne la diffusione. Ora è chiaro che nessuno ha la sfera di cristallo e, quindi, la capacità di prevedere il futuro, ed in particolare cosa sarebbe successo nel 2020 in tutto il mondo ed anche in Italia. L’aver elaborato un piano pandemico, non averlo aggiornato pur avendo prodotto i diversi organismi tecnici sanitari documenti che evidenziavano alcuni dei rischi prevedibili e prevenibili sia pure non nello specifico e, in ultimo, non aver dato seguito ad essi con atti di pianificazione e programmazione intesi a preparare le condizioni per gestire al meglio una possibile pandemia, risulta essere una grossa responabilità in capo a chi ne aveva l’obbligo.

In realtà l’OMS ha sempre raccomandato ai vari Paesi aderenti di aggiornare costantemente i loro piani pandemici proprio per creare le condizioni necessarie ad affrontare al meglio situazioni come quella vissuta in questi mesi. Da tempo l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha messo in guardia sull’arrivo di una nuova pandemia e dal 2011 ha creato il PIP (Pandemic Influenza Preparedness), in cui si legge che “l’implementazione di misure di risposta possono essere rafforzate con attività di preparazione avanzata”. Nel 2018, inoltre, ha predisposto una guida pratica per sviluppare e condurre simulazioni per testare i piani pandemici, cosa che in Italia non ha avuto seguito. Anche il Piano nazionale della prevenzione 2014-2018, la cui validità è stata estesa al 2019 dalla Conferenza Stato-Regioni, sottolinea che “con l’entrata in vigore, nel 2013, della nuova Decisione della Commissione Europea (No 1082/2013/EU) l’Italia è chiamata a sviluppare un piano generico di preparazione a serie minacce transfrontaliere per la salute sia di origine biologica (malattie infettive, resistenza agli antibiotici e infezioni nosocomiali, biotossine), che di origine chimica, ambientale o sconosciuta e a minacce che potrebbero costituire un’emergenza sanitaria di carattere internazionale nell’ambito del Regolamento Sanitario Internazionale”. Anche in questo caso, purtroppo, senza seguito.

 

Ma come è strutturato un piano pandemico?

 Esso individua sostanzialmente tre periodi che, in maniera sintetica si vanno a descrivere di seguito. Essi sono:

  1. Periodo interpandemico
  2. Periodo di allerta pandemico
  3. Periodo pandemico.
  4. Il periodo interpandemico, in cui non vi sono segnali che indichino l’inizio di una pandemia, presuppone il rafforzamento della preparazione ad una pandemia (nel caso specifico si parlava di influenza) sia a livello nazionale, sia a livello locale. Questo nell’ottica della prevenzione nella sua forma più completa. In tale periodo, suddiviso in più fasi e livelli di azione, sono declinate le attività che attengono all’organizzazione della catena di comando che deve essere definita in modo chiaro (e sappiamo come così non è stato al momento della pandemia di Covid-19), al censimento dei bisogni e delle risorse (e sappiamo anche in questo caso quanti problemi connessi alle carenze di personale, sia sul territorio che in ospedale, e le carenze di mascherine e dispositivi medici e di protezione individuale), alla definizione di procedure e protocolli individuando chi fa che cosa, come e quando farlo. Ma prevedendo anche, ad esempio, esercitazioni con il coinvolgimento di tutti i livelli istituzionali interessati, il censimento demografico e per rischio della popolazione, il censimento dei laboratori in grado di supportare la diagnostica, il costituire una riserva di farmaci antivirali, DPI, vaccini, antibiotici, kit diagnostici, ecc.
  5. Il periodo di allerta pandemico in cui assicurare le rapide caratterizzazione ed individuazione del nuovo sottotipo virale, la notifica e la risposta a nuovi casi potenziando la sorveglianza nell’uomo ed attivando i protocolli diagnostico-terapeutici previsti. Durante tale periodo, anche esso suddiviso in più fasi e livelli, tra le azioni da mettere in campo è previsto ad esempio il monitoraggio continuo dei casi, l’individuazione in costante aggiornamento dei criteri per la definizione dei casi medesimi, la definizione delle linee guida per il trattamento a domicilio dei pazienti colpiti, l’attivazione del coordinamento tra tutti i livelli istituzionali, ecc.
  6. Il periodo della pandemia, quando cioè vi è un’aumentata e prolungata trasmissione dell’infezione nella popolazione. L’obiettivo da perseguire è quello di rendere minimo l’impatto della pandemia modulando l’intensità delle azioni da attuare in relazione alle diverse fasi e livelli che sono contemplati in questo periodo. Tra le altre azioni, anche in questo caso a titolo di esempio, si prevede la possibilità di adottare i poteri di emergenza, determinare risorse addizionali cui attingere in tempi rapidi, fornire il supporto alla ricostruzione dei servizi essenziali ed il supporto psicologico, attuare la sorveglianza per l’individuazione precoce della diffusione dell’infezione e mettere in atto ulteriori misure di controllo, aggiornare i media costantemente, rimodulare i posti letto secondo le mutate esigenze, ecc.

Ora, senza addentrarci in tutti i dettagli di preparazione, sorveglianza, monitoraggio, azioni, ecc., che il piano declina in maniera dettagliata e richiamando l’oggetto di questo mio intervento, vorrei indirizzare l’attenzione sul ruolo delle Regioni così come declinato dal piano medesimo.

È da premettere che è un dato di fatto, oramai acclarato, che il piano non è stato aggiornato nel corso degli anni e che un suo aggiornamento avrebbe sicuramente fornito un utile supporto alla gestione di tutte le fasi della pandemia nel nostro Paese. Ma tant’è. E veniamo al ruolo delle Regioni. L’allegato al piano riporta Linee Guida per la stesura dei Piani Pandemici regionali. Ora, non mi risulta che la Regione Basilicata abbia elaborato un piano regionale, ma potrei errare. Resta però il fatto che le Regioni sono chiamate a predisporre i propri piani, in coerenza con quello nazionale, per essere pronte a rispondere nel migliore dei modi ad un’eventuale pandemia.

Tra le azioni che esse devono prevedere riporto, ad esempio, la formazione del personale che è strategica e rappresenta un valore positivo su cui poter contare in ogni occasione. Si aggiungano la definizione di sistemi di monitoraggio e sorveglianza epidemiologica per segnalare tempestivamente i casi che dovessero interessare i territori di competenza, predisporre scorte di farmaci utili a gestire la pandemia, predisporre piani di informazione della popolazione, attuare correttamente le politiche vaccinali, predisporre piani per garantire i livelli assistenziali in corso di pandemia, definire strategie di comunicazione e monitorare le azioni pianificate al fine di valutarne l’efficacia. Naturalmente, così come per il piano nazionale e con le dovute proporzioni, sono molteplici le azioni da pianificare, e per brevità non le descrivo. Ma mi preme evidenziare la giusta rilevanza che deve essere data alla prevenzione primaria che, così come l’epidemiologia ci insegna, è il primo tempo della prevenzione. Inoltre, bisogna far tesoro, a livello nazionale, dell’esperienza vissuta sino ad ora con la pandemia Covid-19 e tempestivamente aggiornare il piano nazionale.

Nelle regioni dove non è stato mai elaborato un piano, prepararsi e definirlo, ed in quelle dove esiste ma non è aggiornato, provvedere al suo aggiornamento. Ci auguriamo che la Regione Basilicata sappia far tesoro dell’esperienza vissuta e si accinga ad elaborare, appena le indicazioni nazionali saranno ridefinite come ci auguriamo, il proprio piano. Lo divulghi, lo partecipi ai diversi attori istituzionali come le aziende sanitarie territoriali ed ospedaliere, alla sanità privata accreditata e non, alla protezione civile, al prefetto, ai sindaci, alle forze dell’ordine, alle associazioni di volontariato, alla CRI e a tutti coloro che potranno svolgere un importante ruolo nella gestione di una nuova pandemia.

Facciamo della pandemia un’opportunità.

 

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