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Vincenzo Galante: Da “Il mondo di Papà beat” allo sguardo della nonna di Aliano


di Mimmo Mastrangelo – dal QUOTIDIANO DEL SUD

Lo sguardo in macchina di Vincenzo Galante continua ad essere trasversale, fra cinema e fotografia. Ultimo suo lavoro filmico è stato il corto “Il mondo di Papà Beat”, un bel ritratto (non aggrappato ai formalismi) su Antonio Di Spagna, ex-figlio dei fiori, da poco scomparso a Sarconi e che negli anni sessanta del secolo scorso, a Milano, fu tra i leader del movimento pacifista dei cappelloni. Sull’altro fronte, quello della fotografia, Galante è fresco vincitore del secondo premio al “concorso fotografico Matteo De Sio”, promosso dalla “Fondazione Serenità” di Moliterno.

Dare una lettura degli scatti di Galante pone a condizione – come per le sue opere filmiche – la “non soggezione” all’estetica, al formalismo, al bello. Il maestro del bianco e nero Gianni Berengo Gardin va ripetendo da lungo tempo che “una foto si può presentare bella e perfetta formalmente però può non dire niente dal lato narrativo, invece, dall’altra parte, una foto può non essere perfetta tecnicamente ma può passare per buona perché racconta una storia”. Le istantanee di Galante appartengono alla categoria della “fotografia buona”, infatti, si pongono puntualmente per raccontare senza filtri storie di uomini, storie della loro condizione sociale, storie del loro tempo, esattamente come quel volto di rughe e mani nodose dell’anziana donna di Aliano con cui il filmaker e fotografo di Moliterno è stato premiato (nella sezione in bianco e nero) al concorso Matteo De Sio. E’ un fotografo di (e nella) strada Galante che cerca di strappare, attraverso lo scatto, i nessi che si presentano dentro un contesto umano (o urbano). Il suo scatto è guidato sì dal pensiero, ma, sopratutto, da un istinto che mira a sorprendere quel decisivo e realistico attimo fuggente (caro a Cartier Bresson) che nello “sviluppo su patina” verrà collocato e fissato in un tempo infinito…Lo scatto vincitore della donna di Aliano è una testimonianza di come l’occhio di Galante, senza indulgere nel calligrafismo, si pone riguardoso e gentile nei confronti del mondo, nonché attento a lasciare affiorare un narrato che è storia personale e che, al contempo, non si può scindere dal racconto collettivo.

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