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Tempo di olio, come difendersi dai falsi extravergine?


di Michela Castelluccio

Le campagne olearie si prospettano sempre più insidiose per il nostro paese e la Basilicata non ne è di certo esclusa. Ai più non sarà certo sfuggito il servizio della trasmissione televisiva Report, che ha rivelato come in Italia la produzione di olio non arrivi a soddisfare la domanda interna. In tal senso, nel bel paese si produce molto meno olio rispetto alla quantità che se ne consuma ed esporta. Non è infatti un mistero che, tra i prodotti in commercio, ci siano non solo i grandi marchi italiani in mano ad aziende straniere, ma soprattutto etichette aventi la dicitura “prodotto con miscela di oli dell’Unione Europea”. C’è da specificare che quando un olio (vergine o extravergine) non viene prodotto in Italia o deriva dalla miscelazione di più oli, non significa che esso non sia buono.

Il ‘perché’ di questo processo si spiega a partire dalla produzione scarsa dell’Italia, che porta con sé anche i vantaggi di oli e olive aventi costi molto ridotti all’estero. Quali sono gli stati dai quali ci approvvigioniamo? Il principale paese produttore di olio d’oliva è la Spagna, che unisce la meccanizzazione al metodo intensivo di produzione: lì è inoltre in voga il recupero dei costi, utilizzando gli scarti per la produzione di energia elettrica. Seguono dopo la Spagna, il Portogallo e la Grecia: il trucco si ha quando l’olio vergine di queste nazioni, acquistato dalle multinazionali dell’olio è venduto come olio italiano solo perché l’imbottigliamento avviene su suolo italiano. Ma a questa pratica ormai consuetudinaria se n’è aggiunta un’altra molto più grave: quando si fa passare per extravergine un prodotto che di fatto non lo è. La truffa scoperta da Report ha questa procedura: “gli importatori italiani comprano olio spagnolo che sulla carta risulta essere extravergine ma che in realtà è olio lampante. Quest’ultimo è un olio dal sapore rancido, in passato usato per l’illuminazione, prodotto com’è da olive marce o mal conservate. L’acquisto del prodotto all’estero da parte degli italiani, sia nei paesi UE che in Tunisia, è finalizzato al risparmio sui costi e alla maggiorazione del prezzo di vendita dell’olio, spacciato per made in Italy.

Come difenderci da tali, per così dire, anomalie? Su più canali d’informazione sono stati resi noti i nomi degli oli contraffatti, pertanto vi risparmieremo l’ennesimo elenco. Infatti, più che puntare il dito sui marchi considerati “sospetti”, perché non cambiare il paradigma del nostro pensare e, con esso, del nostro agire? Pertanto, anziché evitare il potenziale olio nocivo alla salute, sarebbe ora di pensare alla fattibilità di insediamento di oli “nostrani”, di assoluta affidabilità, prima ancora che di eccellenza. Partiamo, allora, dalla consapevolezza che all’Italia, manchino le olive, oltre ad una politica direzionata verso l’olivicoltura. Quale miglior monito e sfida per la Basilicata, se non quello di investire seriamente nella qualità e nella varietà di olive autoctone, coerentemente alla sua storia di Magna Grecia? E magari, perché non metter in atto anche un recupero di vecchi oliveti abbandonati? E, ancora, se vogliamo essere ancor più lungimiranti, sarebbe ora di pensare alla creazione (che non sia troppo futuristica) di una grande Organizzazione di Prodotto (OP) a valenza Regionale.

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