Salute

Sars-cov-2 è mutato. Nessuna novità


La vita non è statica e con essa tutte le entità biologiche che la compongono. I virus e l’uomo, pur essendo estremamente diversi, fanno parte di uno stesso sistema dinamico e mutano sottoposti alle straordinarie forze dell’evoluzione.

Guardandoci intorno, nello spazio e nel tempo, possiamo renderci conto di come le specie cambino nella struttura e nel comportamento, anche senza visionare le evidenze scientifiche a riguardo.

La base dell’evoluzione: le mutazioni.

Il punto di partenza dell’evoluzione è proprio la variazione. In tutte le specie viventi si verificano mutazioni casuali del materiale genetico, detto genoma, che è l’insieme delle informazioni necessarie per costruire una entità biologica.

Se non esistessero queste variazioni spontanee, che rendono unico ciascun organismo, la vita così come la conosciamo non potrebbe esistere.

Le mutazioni virali.

Pur essendo considerati organismi ai margini della vita, perché non possiedono tutte le caratteristiche con cui i biologi classificano le specie viventi, i virus, quando formano nuove particelle virali all’interno delle cellule che hanno infettato, accumulano variazioni nel loro materiale genetico.

Questo è dovuto a processi spontanei e casuali. Uno di questi è l’introduzione di errori da parte dell’enzima Polimerasi, che ha la funzione di copiare il materiale genetico del virus progenitore che si sta replicando per creare nuove particelle virali identiche. Esistono inoltre altri meccanismi che generano variabilità e che cambiano per esempio in base al virus o al tipo di microambiente in cui si vengono a trovare.

Qual è l’effetto delle mutazioni?

Tutte le specie mutano, cambia solo la velocità con cui ognuna di esse lo fa nel tempo.

Le mutazioni, nei virus e in tutte le specie viventi, costituiscono il materiale grezzo su cui agiscono le forze evolutive, che tendono a selezionare, trasmettendole alle generazioni successive, quelle variazioni del genoma che possono essere vantaggiose per la perpetuazione della specie.

E’come se tutte le entità biologiche si trovassero in movimento nel fiume dell’evoluzione, che le spingesse a sopravvivere.

Le mutazioni di SARS-CoV-2.

Anche SARS-CoV-2, il virus responsabile della pandemia in corso, muta. Niente di strano, considerando quello che abbiamo descritto fin qui, né se pensiamo a quante volte un virus in piena pandemia possa andare incontro ad errori di replicazione o si ritrovi ad interagire con ambienti così diversi a cui deve cercare di adattarsi per sopravvivere.

Fino ad oggi sono note diverse varianti di SARS-CoV-2. Tra queste, la variante B.1.1.7, chiamata comunemente “variante inglese”, è quella che si è diffusa maggiormente, perché conferisce un vantaggio al virus aumentandone la trasmissibilità.

Possiamo prevedere l’evoluzione di SARS-CoV-2?

Anche se ci sono dei vincoli evolutivi che tendono a perpetuare la specie, l’evoluzione non è un processo prevedibile, perché sono troppe le variabili che entrano in gioco.

Le mutazioni di SARS-CoV-2 ci spaventano, facendoci immaginare scenari catastrofici, ma bisogna considerare che, anche se non possiamo prevedere cosa succederà, possiamo comunque considerare che l’obiettivo del virus non è di distruggere lo stesso ospite che usa per sopravvivere. Inoltre, bisogna tener presente che l’evoluzione tende a conservare delle caratteristiche importanti per ogni specie, ponendole sotto il controllo di più geni e che queste richiedono numerose mutazioni per evolversi.

Il virus non è in lotta con noi, il suo obiettivo non è quello di distruggerci e non è dotato di un Sistema Nervoso che gli consente di prendere decisioni. Noi, invece, siamo dotati di un cervello evoluto, capace di svolgere le più complesse funzioni cognitive e possiamo scegliere di intervenire intenzionalmente nel processo evolutivo, monitorando l’evoluzione del virus nel tempo e nei diversi Paesi, sequenziando costantemente il suo genoma per conoscere le sue varianti e aggiornando i vaccini e le tecniche diagnostiche in base ad esse.

 

Antonietta Caricato 

 

Referenze:

https://doi.org/10.1007/s00018-016-2299-6

https://doi.org/10.1016/j.chom.2018.03.012

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