I giorni continuano a trascorrere dopo quella “maledetta domenica”, ma la nostra comunità vive ancora in un’atmosfera frustrante, si avverte un senso di sbigottimento generale per ciò che è stato e per ciò che tuttora è. Da quella domenica il tempo sembra essere sospeso.
Fabio non c’è più e la perdita è grave: irrimediabile vuoto per la sua famiglia, indelebile cicatrice per chi ha avuto la fortuna di conoscerlo, tragico epilogo di una dinamica che nessuno aveva intenzione di porre in atto.
Non doveva succedere. Non si può morire così. Non è giusto.
Questo è diventato il pensiero comune espresso ad alta voce, che ci ha poi immediatamente portati a chiuderci in un assordante silenzio; tuttavia a due settimane da quella “maledetta domenica” ci sentiamo in dovere di romperlo, questo silenzio, in reazione a dichiarazioni pubbliche ed inopportune prese di posizione che inaspriscono gli animi anziché favorire una reazione di distensione e promuovere la non violenza, la sola ragionevole strada per educare davvero ad un’armonica e civile convivenza oltre i singoli campanili.
Vengono espresse frettolose sentenze, ci si erge a giudici e custodi di una “verità” presunta da alcuni e presa immediatamente per buona per l’urgenza di fare notizia, che ha rovinosamente prevalso sul buon senso che avrebbe imposto rispettoso silenzio per tutto il tempo necessario ad una oggettiva prima ricostruzione dei fatti.
Da subito e per giorni si è raccontato di un “criminale assalto organizzato in stile militare”, di “scontri tribali”; per giorni si è incessantemente offerta in pasto all’ opinione pubblica una versione presunta che, nonostante le indagini in corso stiano ricostruendo un quadro ben diverso, continua ancora ad essere diffusa, perpetuando nel diffamare gravemente un’intera comunità di giovani e di famiglie.
L’ immediata formulazione dell’ipotesi di omicidio volontario nei confronti dell’investitore, ad oggi ribadita dagli inquirenti, non è bastata ad instillare un ragionevole dubbio che congelasse, almeno, la gogna mediatica fino “a prova contraria”.
Dal corso delle indagini è già emerso che la versione dell’accerchiamento è venuta meno, i “bastoni” rinvenuti nei pullman erano in realtà le aste di plastica delle bandiere e degli striscioni; i tifosi della Vultur volevano, di certo sconsideratamente, rispondere al pericoloso “gioco” delle reciproche provocazioni, nessuno si aspettava si potesse arrivare a tanto.T
Tutti gli attori coinvolti si sono trovati a vivere uno sciagurato teatro di attimi di pura follia, attimi in cui una reazione inaspettata, sconsiderata, non necessaria ha causato la morte di uno di loro, uno che come ciascuno di loro non voleva ammazzare nessuno e non voleva morire.
No. Ci voleva qualcosa di più.
Ci voleva anche un esercito di “criminali”, “soldati educati alla guerra tribale” e dunque da rinchiudere in cella.
Una versione, questa, che buca lo schermo e riempie i titoli dei giornali, alimenta le discussioni sui social ed il linguaggio violento, producendo così l’esatto contrario di ciò che lo Stato dovrebbe esigere in contesti del genere.
Da due settimane ed ancora oggi dei ragazzi “colpevoli” di una pur grave incapacità di valutare le inaspettate, molteplici e nel caso specifico tragiche conseguenze di una provocazione inopportuna, ma “innocenti” fino a prova contraria delle aggravanti contestategli ormai solo a mezzo stampa o social, sono ancora privati della loro libertà e della possibilità di elaborare la tragica perdita del caro Fabio, della cui morte restano testimoni oculari. Ma la notizia doveva essere “virale” ed il caso era diventato ”esemplare” in pochi minuti.
Noi crediamo che la comunità del Vulture, composta da gente pacifica e ragionevole, debba resistere con maturità a questa barbarie, innanzitutto perché sa che non giovano a nessuno conflitti né tra le comunità né al loro interno, ma anche perché sa che in questo momento serve che lo Stato si mostri davvero giusto, soprattutto perché ciò consentirebbe alla comunità stessa di cominciare a curare le troppe ferite e ripartire all’ insegna dell’ unione, non per fingere che non sia accaduto nulla ma per migliorare realmente i nostri contesti sociali e di vita.
Le comunità di Melfi e di Rionero si abbracciano e si stringono la mano da tempo e continueranno a farlo, come continueranno a fare anche i tanti ragazzi che, tenendo nel giusto peso il clima domenicale, non vivono rivalità, sono amici, compagni di scuola, colleghi di lavoro.
Oggi, in nome di quanto detto, ci continuiamo a chiedere come sia possibile pensare che per i giovani tifosi della Vultur tratti in arresto domenica 19 gennaio non vi sia altro rimedio al carcere preventivo.
Noi conosciamo quei ragazzi, li conosciamo tutti, uno ad uno e sappiamo che oggi si ritrovano a vivere attimi di terrore e che quello che è accaduto certamente gli ha già cambiato la vita.
Lungi da noi volerci sostituire all’ indagini che sta portando avanti la magistratura, chiediamo a gran voce di far emergere al più presto la verità perché quei ragazzi meritano di essere giudicati per le loro responsabilità: quelle vere, non quelle di maggiore effetto.
Noi sappiamo bene che quei ragazzi non sono criminali e non meritano di essere trattati come tali ed è per questo che speriamo di incontrarli al più presto, per riaccoglierli all’ interno di una comunità pronta ad affiancarli compattamente in un processo di totale riscatto.
Ci impegniamo dunque, nel ricordo di Fabio, in una profonda riflessione che accompagnerà le nostre azioni, soprattutto future: la morte del nostro Amico Fabio non deve essere dimenticata anzi, deve insegnarci e guidarci quotidianamente ad essere una Comunità migliore.
Pro Loco Rionero in Vulture
Associazione Le Monadi
Associazione 14 Giugno
Associazione Orsomando
Associazione Akestra Lab
Arci Rionero in Vulture
Rivista Valori
Associazione Chauta
Associazione Terra Amara
Associazione FIDAS