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L’accordo sullo scambio (CETA) mette a repentaglio l’economia lucana


Che fine farebbero le nostre decine di aziende zootecniche di allevamenti ecosostenibili o le centinaia di realtà di produzioni artigianali o ancora le diverse imprese innovative della green economy, nate anche in questa periferia del mondo che si chiama Basilicata, di fronte allo strapotere economico, persuasivo e politico di una multinazionale?
Se a un certo punto, gli Stati europei stipulano un contratto di libero scambio che non tiene conto né della diversità di visione economica della società tra le due sponde dell’Oceano Atlantico né della diversità delle regole di tutela del consumatore?
La recente affermazione di Luigi Di Maio, dichiaratamente contro la ratifica dell’accordo col Canada, che va sotto il nome di Ceta, “Comprehensive Economic and Trade agreement”, mette definitivamente a riparo le economie come quella lucana (e italiana), fatta di realtà di piccola e media impresa imprenditoriale, dall’aggressività intrinseca di una multinazionale americana.
Aggressività non solo dovuta al potere economica di una multinazionale che esercita in maniera globale la sua economia, ma anche in virtù della famosa clausola “Ics” (Investment Court System), ossia un arbitraggio sugli investimenti che ricorre a tribunali privati e che tutelerebbe gli investitori stranieri, tanto da permettere loro di intentare addirittura processi contro gli Stati, qualora le multinazionali considerassero i loro interessi commerciali danneggiati da norme interne, anche se stabilite da un Parlamento eletto dal popolo. Con rischi concreti di “giustizia parallela”, in particolare in materia ambientale e sociale.
Dunque, bene ha fatto il nostro vice premier a rimarcare e rilanciare con fermezza la posizione già presa dal ministro dell’Agricoltura, Gian Marco Centinaio, di non ratificare il Ceta sottoscritto dal precedente governo in chiara sudditanza delle esigenze imposte da una globalizzazione costante e imperante che ha sempre visto la contrarietà del Movimento 5 Stelle.
La posizione del Pd, di recente confermata dal parlamentare ed economista Francesco Boccia, è al solito strumentale e ambigua, in quanto, il tanto pubblicizzato incremento delle esportazioni italiane dell’8% in Canada “grazie” alla sottoscrizione del Ceta, è un valore astratto perché non valuta il bilancio totale tra l’import e l’export italiano verso il Canada e perché sarebbero comunque pochissime le realtà italiane e lucane ad avere la forza economica per reggere una esportazione Oltreoceano. A differenza delle aziende del Food americano che, con molta più facilità, possono sdoganare una marea di marchi di produzioni di bassa qualità in tutta l’area europea. Inondando il mercato italiano con prodotti realizzati e confezionati spesso con norme di tutela per il consumatore molto più blande sia di quelle europee  che di quelle Italiane, notoriamente molto più rigide.
Invalidando di colpo decenni di lotta alle contraffazioni alimentari e dando inizio a una nuova forma di lotta di classe: chi potrà mangiare prodotti di qualità e chi dovrà mangiare un pollo al cloro, permesso in America, ma vietato in Italia.

Arnaldo Lomuti, senatore e vice presidente del gruppo M5S

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