Cronache

Giro milionario di false retribuzioni tra Calabria e Basilicata. Società «fantasma» per truffare il fisco


Truffavano il fisco attraverso società fantasma. Oltre all’evasione fiscale avevano escogitato anche un sistema per ottenere pensioni più alte. Infatti, gonfiavano i loro compensi (in un caso fino a 8 milioni di euro in cinque anni), come amministratori, soci o dipendenti, in realtà mai percepiti ma solo per realizzare il miraggio di una bella pensione. La Procura di Paola (Cosenza) ha chiuso le indagini su un presunto giro milionario di false retribuzioni e società che coinvolge anche un lucano. Si tratta di Alessandro Albano, 40 anni, di Lagonegro, indagato, insieme con altre 13 persone, con l’ipotesi di «associazione per delinquere – come si legge nell’avviso di conclusione indagini – finalizzata alla commissione di una pluralità di reati fiscali nonché di più reati di truffa aggravata ai danni dello Stato». Un giro di affari virtuale tra 24 società, tutte fittizie (intestate a prestanomi) che, secondo l’accusa, si scambiavano documenti contabili non fedeli alla realtà, con costi gonfiati, allo scopo di maturare, solo sulla carta, un credito d’imposta notevole con cui compensare i debiti fiscali (tasse e contributi previdenziali). Le società, infatti, non avrebbero versato neanche un euro all’Inps, usufruendo delle compensazioni tra enti dello Stato. Secondo la Guardia di Finanza la truffa complessiva ammonta ad oltre 33 milioni di euro, per l’esattezza 33. 322, 212. L’in – chiesta, denominata «Matassa», parte poco più di un anno fa ed è coordinata dal capo della Procura di Paola, Pierpaolo Bruni.

I finanzieri si mettono a spulciare documenti, incrociano nomi e numeri e portano alla luce il raggiro con cui sarebbe stata saccheggiata la previdenza italiana. La presunta truffa era concentrata soprattutto nell’Alto Tirreno Cosentino, a Praia a Mare, ma con ramificazioni fino all’Emilia Romagna. Diecimila i modelli F24 presi in esame per analizzare il meccanismo fraudolento, molti con importi di 0, 1 centesimo per evitare il blocco delle procedure di compensazione. A dicembre scorso scatta il blitz che porta i 14 indagati in manette (11 in carcere e 3 ai domiciliari, tra cui Albano). Successivamente il Tribunale del Riesame, accogliendo i ricorsi dei difensori, concede ad alcuni gli arresti domiciliari e ad altri l’obbligo di dimora. Albano resta ai domiciliari. Secondo l’accusa anche lui avrebbe beneficiato dei magheggi compiuti da colui che gli inquirenti ritengono il cervello dell’associa – zione, Maurizio Ruggerini, imprenditore nativo di Carpi, ma residente a Castrolibero (Cosenza), l’unico rimasto in carcere. In verità Albano (che avrebbe prestato la sua opera come dipendente per alcune delle società incriminate), risulterebbe uno degli stipendiati più bassi. Dal 2012 al 2017 avrebbe percepito compensi per circa 213mila euro. Nel vortice è finito anche il famoso Aquafandi Praia a Mare, location molto gettonata dai turisti, a pochi passi da Maratea. Le carte dell’inchiesta svelano come funzionava il meccanismo truffaldino. Nel caso del 40enne lucano, ad esempio «gli amministratori di fatto e di diritto delle società – scrivono gli inquirenti – procura – vano per Alessandro Albano e quest’ultimo procurava per sé un ingiusto profitto consistito nel precostituirsi un imponibile previdenziale attivo nell’arco di cinque anni dal 2012 al 2017 pari a 232mila 717 euro. Importo scaturente dalle suddette retribuzioni, quale base di calcolo per la pensione».

FONTE. PINO PERCIANTE – LA GAZZETTA DEL MEZZOGIORNO

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