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COVID – 19. I prodromi non riconosciuti di un’emergenza all’insegna del caos.


Ad oltre un mese dall’intervento in Consiglio Regionale del capo del dicastero della sanità che rassicurava tutti, con fare leggero ed inappropriato, riferendo di un’incidenza dell’80% in termini di contagiosità e che solo il 5% sarebbe caduto nella necessità di essere ospedalizzato rimanendo ad un 2% le probabilità di andare incontro a decesso, abbiamo la percezione che il caos è il protagonista principale di questo momento. Come se a quella data, era il 27 febbraio 2020, non arrivassero notizie da Bergamo, Codogno, e altre zone della Lombardia, a dare indicazione di cosa potesse comportare una possibile situazione di contagio da COVID -19.

Perché vi parlo di prodromi di una emergenza annunciata e dell’incapacità di saper valutare le conseguenze? Perché se avessero avuto il buon senso di mettersi nelle mani di un Disaster Manager avrebbero gestito la fase incipiente di questa terribile situazione in maniera diversa.

Dunque, per spiegarmi meglio vi riporto un discorso pratico di una simulazione per un caso di studio che potremmo considerare simile, non senza chiedere venia in anticipo per approfittare del tempo di quanti vorranno arrivare fino in fondo:

La mattina del 1 maggio del 2000, un medico di base insieme al genero, medico di fresca nomina all’Ufficio di igiene pubblica, decidono di fare un’uscita in barca per condividere una tranquilla giornata di pesca. Ad escursione in corso il medico di base riceveva una telefonata di una paziente che chiedeva lumi per il marito che, dal giorno precedente, accusava forti dolori addominali oltre a continue scariche diarrotiche. Senza esitazione consigliava l’uso di antibiotici per i quali poteva avere anche la prescrizione medica. Il genero si allarma per via del fato che da diversi giorni al suo ufficio erano arrivati verbali di analisi che riportavano valori di gran lunga superiori al limite dei parametri batteriologici (coliformi totali, coliformi fecali e streptococchi fecali), noti indicatori indiretti di patogenicità per l’uomo; e proprio riferito alle acque marine prospicienti la stesa comunità.                                                

La preoccupazione porta entrambi ad approfondire i casi e dopo aver consultato il direttore sanitario e verificato altri casi di pazienti affetti da dolori addominali e forte diarrea approdano alla comunicazione dei sospetti al Sindaco del Comune interessato, il quale senza esitazione dava comunicazione al Prefetto, e dichiarava lo stato di allerta convocando i massimi referenti sanitari del territorio.

Il primo cittadino, completamente a digiuno in materia di igiene e sanità pubblica e di protezione civile, avvertiva tutto il disagio di chi avrebbe dovuto gestire, probabilmente, una vera emergenza, senza averne la perizia del caso.

Per questa ragione decideva di avvalersi di un esperto di gestione delle emergenze, affinché potesse riceverne l’ausilio tecnico – organizzativo per ciò che di là a qualche giorno sarebbe potuto verificarsi.  La scelta cade su una persona di alto profilo professionale capace di gestire grandi eventi e soprattutto di saper gestire le situazioni di emergenza, in pratica un Disaster Manager.

Il Disaster Manager, consapevole che avrebbe dovuto affrontare problemi relativi a:

  • funzionari sull’orlo di una crisi di nervi che non sanno a chi rivolgersi per ottenere informazioni utili;
  • ad indagini affannose per individuare coloro che sono preposti a determinati servizi utili alla gestione della calamità in atto;
  • a conflitti di competenza fra pubblici poteri;
  • a volontari capaci e generosi ma che in carenza di organizzazione degli interventi, non sanno a chi prestare assistenza;
  • alla scarsa conoscenza del fenomeno calamitoso in atto;
  • alla difficoltà di reperire le risorse necessarie (posti letto, ambulanze e dispositivi di protezione individuali) ed all’incapacità di gestirli secondo canoni di efficienza ed efficacia.

Riunisce intorno ad un tavolo tutti i massimi esperti presenti sul territorio per fare sintesi sulla situazione. Espone il maggior numero di variabili esistenti e sulle interrelazioni che fra queste possano crearsi. …”. Risparmio il seguito perché non aggiungerebbe altro alla mia osservazione.

Ora analizzando ciò che è successo nelle ultime sei settimane credo che la simulazione appena riprodotta ci riporta, pari pari, a ciò che si sarebbe potuto fare.

Invece ci siamo trovati difronte ad una Task Force che nei primi momenti snocciolava numeri che venivano poi cancellati, smentiti, riprodotti, rettificati. Molti giornalisti lamentavano notizie frammentarie, imprecise e poco chiare. Ma questo è il lato della cronaca burocratica. Il lato della cronaca “nera” invece ci fa contare morti, famiglie infettate, ospedali al collasso, tamponi mai arrivati ed altri arrivati prima, ed altre storture che per rispetto del periodo vengono sottaciute fino ad emergenza conclusa.

Non è sfuggito al popolo del WEB l’allarme del blogger Antonio Nicastro, che per venti giorni lamentava sintomi che riportavano a quelli della patologia criminale del COVID-19, mentre altri colleghi del Nicastro annunciavano la loro positività rassicurando che tutti i suoi contatti erano risultati positivi. Un metodo a due binari, Nicastro con i sintomi viene portato in ospedale quando era ormai allo stremo delle forze, l’altro, senza sintomi, viene sottoposto a tampone, con al seguito i suoi familiari ed amici entrati in contatto con lui. La lapalissiana confusione in cui versa la regione che a domanda di qualche persona accorta sul perché non fosse stato nominato un commissario si sente rispondere: il commissario c’è, è il presidente della Regione. Ora, niente contro il Presidente Bardi, ma credo che la visione che avrebbe avuto un preposto con qualifica specifica, nella gestione del disastro, sarebbe stata tutt’altra cosa di ciò che abbiamo visto nelle ultime settimane.

Intanto mi sovviene alla mente che si sarebbero potuti mettere attorno ad un tavolo, ed un DS lo avrebbe fatto immediatamente, tutte le associazioni di volontariato, per analizzarne le strutture, gli organigrammi, il capitale di mezzi e i curricula di altre gestioni emergenziali. Non è stato fatto, però è uscita una polemica sullo spirito di autonomia di uno dei maggiori gruppi di volontariato in Basilicata senza invece preoccuparsi di capire quanti uomini ha questo gruppo. Avrebbero scoperto che vi sono docenti universitari provenienti dalla California che hanno insegnato materie appropriate, ingegneri, geologi, astrofici ed anche diplomatici internazionali che hanno capacità di gestire la diplomazia oltre oceano e che hanno avuto ruoli di gestione delle emergenze come la guerra delle Falkland o le vicende delle risorse petrolifere venezuelane. Figure professionali che avrebbero messo volentieri a disposizione della gente lucana la loro capacità accademica e scientifica per la gestione e ciò senza nulla togliere alle altre associazioni che avrebbero comunque svolto il loro ruolo. Perché, credo sia doveroso precisarlo, un volontario non presta l’opera solo per spegnere un incendio d’interfaccia, per portare viveri ai bisognosi, spalare la neve davanti la casa della vecchina o montare tende per ospitare famiglie sfollate; un volontario potrebbe collaborare nell’analisi di dati geologici, supportare decisioni di tipo geotecnico, collaborare alla valutazione di dati matematici e statistici o metereologici ma anche collaborare alla decisione di strategie in virtù dell’esperienza acquisita su scenari internazionali e, perché no, modellare la diplomazia per l’abbisogna.

Invece è prevalso il senso di conflitto, tipico della burocrazia, che in altre situazione mortifica gli obiettivi ritardando la costruzione di un ponte, la sistemazione di una strada, la messa in sicurezza di un torrente. Qui si trattava di mettere su una macchina che avrebbe dovuto gestire l’eventuale arrivo di infetti dal Nord, che poi di fatto sono arrivati, e limitare i contagi ed a seguire gestire i contagiati per evitare che la gente morisse. Ma oltre a questo, e spero sia stato fatto, bisognava mettere su una strategia di rientro alla normalità una volta conclamata la chiusura definitiva dell’emergenza, e nel contempo gestire la filiera degli extracomunitari che vengono a rubare il lavoro ai nostri compaesani, per consentire al mondo agricolo di portare sui mercati ortaggi ed altri prodotti agricoli.

Niente di tutto ciò. Però credo che tutto sia rimandato, perché a bocce ferme, ad emergenza chiusa, faremo i conti con tanti deceduti e la cosa che dovrebbe far preoccupare chi ha valutato con leggerezza l’incipit di questa emergenza, sottovalutando, ignorando o non capendo i prodromi, è che dovrà affrontare non solo i familiari ma anche, come nel caso di personaggi conosciuti come Astronik Nicastro o Palmiro Corona di Potenza, una folla di gente che reclamerà giustizia; cosa che se non fosse inquadrata in un contesto tragico andrebbe chiamata Class Action.

Gianfranco Massaro – Agos

 

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Su la maschera e…. le tute protettive.

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