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Selezioni Total, il dilemma di Ricchi & Poveri


É una fase tremenda per questa zona interna della Basilicata. Sembra di trovarsi di fronte ad un dilemma al pari di chi ha vinto la Lotteria e non ricorda dove ha conservato il tagliando. Abbiamo una ricchezza che ci ha così storditi quasi da farci credere che al mondo non vi sia altra soluzione di sviluppo se non quella della risorsa mineraria.

Prima di avventurarmi a qualsiasi osservazione e non senza aver invocato la vostra pazienza, voglio riportare una delle teorie economiche riguardante i paesi in via di sviluppo. Dunque W.W, Rostow riteneva che le terre in via di sviluppo fossero quelle regioni con la struttura produttiva caratterizzata dalla prevalenza dei settori primari ovvero agricoltura ed attività estrattive: “La prima che occupa una quota maggiore di lavoratori, ma con livelli di produttività bassi con un contributo alla produttività generale molto minore rispetto alla percentuale di occupati; utilizzo di strumenti tradizionali, scarsi investimenti e carenza di capacità imprenditoriale. Le seconde spesso in mano a società straniere che non offrono molta occupazione”. Ora ditemi se girandovi su voi stessi non vi sentite di stare dentro questa teoria.

Siamo talmente inebriati da cotanta paventata ricchezza al punto da aver obnubilato la capacità laboriosa che distingueva il popolo Lucano e nello specifico questa landa che veniva definita l’osso da chi non credeva alla sua redenzione. Non suscita più meraviglia il panorama di terre incolte ma l’apertura di un nuovo negozio, l’avvio di una nuova impresa o di un giovane che si avvia alla pratica agricola. Non c’è idea di lavoro che non sia quella di farsi assumere dentro le orbite delle company del petrolio; il resto viene considerato follia. Chiudono inesorabilmente macellerie, ristoranti, parrucchieri, panifici, calzolai, negozi ed altre attività primarie che un dì appartenevano alla classe fisiocratica. E non si ha la sensazione che qualcuno si avveda di capire se il fenomeno sia da attribuire alla mancanza di idee, di infrastrutture, di strutture o di mercato.

Ma andiamo ai fatti. Nell’alta valle del Sauro, la selezione di alcune figure tecniche per l’eventuale inserimento nell’organico addetto alla produzione del centro Olio di Tempa Rossa, ha suscitato malumori e scontenti come è ovvio che sia a valle di ogni competizione. Del resto una competizione per chiudersi ha bisogno che qualcuno vinca ovviamente perché qualcuno ha perso. Al netto dei brogli, su cui si sta cercando di fare chiarezza, credo che sia più interessante notare che il profilo professionale dei partecipanti confermi quel fenomeno di ottundimento dello spirito d’iniziativa e di ambizioni a proseguire la strada per la quale furono spesi anni di studio e palate di risparmi dei genitori. Segno che l’ambiente, inteso come macroambiente in cui si muove il mondo dell’impresa, ormai ha pochi argomenti per convincere i giovani a farsi intraprendenti.  Eppure c’è da fare plauso a quanti, per amor di legalità, hanno fatto saltare il banco, anche se il 75% dei selezionati apparteneva allo stesso campanile. É quel dilemma di cui dicevo testé; é un modo per aspirare a fare cappotto o accontentarsi di pochi assunti pur di non avallare irregolarità? O, come qualcuno oltre la siepe lamenta, le motivazioni di fondo posano su questioni di genere e di appartenenza? L’unione, l’obiettivo comune avrebbe messo tutti di fronte al vero dilemma, quello che i matematici della strategia sono soliti identificare come dilemma del prigioniero. Dove, se solo uno confessa, chi ha confessato evita la pena mentre l’altro viene condannato a sette anni di prigione. Se confessano entrambi vengono condannati a sei anni ciascuno di prigione. Se nessuno confessa vengono condannati a un anno ciascuno di prigione. Ovvio che l’ottimo è la terza soluzione. Ma ciò comporta che ci sia cooperazione, conoscenza dello scenario e degli attori. Per questo, prendendo a prestito il modello della matrice del prigioniero, credo che occorra fare strategie comuni per massimizzare i risultati, cercando di elaborare strategie di sviluppo con obiettivi chiari.

Ora immaginiamo che le indagini interne della Total confermino le maldicenze ed i sospetti. Dovremo prendere atto che siamo incapaci di saper costruirci il futuro con una sana competizione, mortificando non solo lo sforzo fatto per dotarsi di validi titoli di studio ma anche di essersi piegati al più becero fenomeno di malcostume che conosciamo: “la raccomandazione”. Se invece le indagini confermano la perfetta regolarità delle selezioni, allora non resta che prendere atto che si è agito o giocato, per stare alla teoria dei giochi, senza senso di cooperazione e senza un minimo di strategia, ottenendo il peggior risultato, per il proprio campanile. In tutto ciò resta l’amarezza di vedere tanti giovani demotivati, e presi dal disincanto di posti che diventano sempre più inospitali a chi ha voglia di emergere ed emanciparsi. Perché sarà pure vero che mancano idee ma è cosa ancora più vera che mancano strategie che vadano oltre il crinale di Tempa Rossa; in un ambiente sano che sappia generare fiducia, capacità di iniziativa, stimoli per nuove idee e motivazioni per restare a calpestare le strade dei nostri paesi. Mario Draghi, che in tema di strategie e di visioni “oltre le siepi” la sa lunga, ai giovani ha detto chiaramente che è loro il compito di trasformare l’Italia. <<Il nostro compito è mettervi nelle condizioni di farlo al meglio. Il vostro è cominciare a immaginare il Paese in cui vorrete vivere. Preparatevi a costruirlo, con passione, determinazione e – perché no – un pizzico di incoscienza>>. Noi vorremmo dei politici incoscienti, capaci di guardare con occhio strategico in maniera da agire sempre per massimizzare i risultati; perché mentre ci si scatena in lotte intestine a Tempa Rossa si estrae petrolio e ad oggi credo si possa dichiarare con buona approssimazione che sono stati estratti circa venti milioni di barili, risparmiandovi il calcolo per dedurre a quanti euro corrispondono. Ma ovviamente produrre ricchezza dall’estrazione del petrolio è l’obiettivo d’impresa e non è certo una colpa della Company Francese che, val bene ricordare, si muove sul campo su concessione dello stato Italiano per tirare su una risorsa che nel nostro ordinamento statale è di proprietà pubblica. A noi, a chi ci governa resta il compito-dovere di saper fare buon uso della ricchezza che ne deriva; per generare occupazione ma anche per creare un clima socioeconomico stimolante e capace di attrarre investimenti e idee per lo sviluppo, perché le produzioni minerarie sono a tempo, quel tempo che per quanto lungo possa essere ha un orizzonte che ogni dì si avvicina.

Gianfranco Massaro – Agos

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