Società e Cultura

Protesta degli studenti davanti la Regione, Ass. Leone: “pronto a ricevervi”


“Contestate, se credete che sia per una causa giusta. Ne avete tutto il diritto. Ma sommessamente vi invito a lasciare uno spazio al dubbio, dal momento che la realtà, tante volte, non corrisponde al modo in cui viene rappresentata. I fatti dicono che in Basilicata l’emergenza sanitaria è stata gestita meglio di altri contesti italiani. E sono anche convinto, in tutta onestà, che qualcosa si poteva fare meglio e soprattutto che la pandemia abbia fatto emergere alcune criticità sanitarie che vengono da lontano. Per approfondire questi temi, nei prossimi giorni sono pronto a incontrare, garantendo le massime condizioni di sicurezza, una delegazione di studenti”.

Così l’assessore alla Salute, Rocco Leone, risponde agli studenti di Potenza che in mattinata hanno protestato davanti alla sede della Regione per chiedere la riapertura in sicurezza delle scuole.

Dal Segretario Generale della Federazione Lavoratori della Conoscenza Paolo Laguardia  arriva il sostegno alla protesta:

La scuola italiana è ormai piombata in un profondo caos istituzionale, con provvedimenti nazionali assunti quasi “alla giornata”, ordinanze regionali che fissano date diverse per la riapertura (quella di Bardi prevede il ritorno in presenza delle superiori il 1 febbraio, mentre nella vicina Puglia l’istruzione è “à la carte”), mentre si moltiplicano le ordinanze di sindaci che sospendono la didattica in presenza.

Succede anche che in qualche regione (da ultimo la Lombardia) gli alunni siano riportati in classe per decisione della giustizia amministrativa, che già in Basilicata era intervenuta su una precedente ordinanza di Bardi, “bacchettando” la regione pur senza annullarne l’efficacia.

Insomma si naviga a vista, la scuola è avvolta in un “vestito di Arlecchino” che disorienta lavoratori, studenti e famiglie, frutto di un vuoto politico che prelude pericolosamente a forme di autonomia differenziata del sistema scolastico e fa dell’istruzione un diritto a geometria variabile.

Nella disgregazione e nell’impotenza generale si è tornati al 1934, al potere dei prefetti, come se la riapertura delle scuole fosse un problema di ordine pubblico e se il diritto alla salute fosse una variabile indipendente a cui sottomettere il diritto all’istruzione e l’autonomia scolastica (costituzionalmente previsti) e lo stesso contratto di lavoro, come se ci trovassimo in uno stato d’eccezione.

Questa situazione non è più tollerabile! Occorre che il Governo assicuri la tenuta del sistema nazionale di istruzione evitando la sua frammentazione a livello territoriale, innanzitutto modificando la norma di legge (n. 74 del 14 luglio 2020) che ha autorizzato, assai incautamente, le regioni a regolare in termini restrittivi le disposizioni dei Dpcm.

In secondo luogo occorre che il Governo assuma una buona volta il tema della riapertura delle scuole come obiettivo prioritario della propria azione politica, da assumere a livello nazionale attraverso una serie di azioni e di scelte mirate, fissando una cornice di interventi all’interno della quali le regioni devono muoversi.

La crisi di governo che si è aperta ieri (e che francamente ci sembra di difficile comprensione) e il clima di forte incertezza che determina, rendono questo obiettivo più complicato da raggiungere, anche perché la scuola è entrata nel tritacarne della crisi ed è diventata materia di scambio politico.

Dev’essere chiaro che senza un quadro di interventi mirati e convergenti, senza un’assunzione di responsabilità politica del governo nazionale il tema della riapertura in presenza e in sicurezza rischia di essere uno slogan.

Per fare questo occorrono misure precise e scelte di fondo: innanzitutto occorrono i dati sull’effettiva trasmissione del virus nelle scuole, dati che fino ad oggi non sono stati raccolti; serve poi aggiornare i protocolli di sicurezza, potenziare gli strumenti di protezione individuale, stabilire una corsia preferenziale per docenti e alunni nella campagna vaccinale; occorre affrontare il nodo dei trasporti, particolarmente problematico nelle aree urbane (nel comune di Potenza più della metà degli studenti sono pendolari); è necessario istituire un presidio sanitario in ogni scuola con l’individuazione dell’operatore sanitario Covid e, parallelamente, stabilire sistemi efficaci e rapidi di tracciamento scolastico e campagne di screening periodico con test rapidi di ultima generazione.

Solo con queste scelte politiche ed organizzative sarà possibile determinare in ogni scuola condizioni di sicurezza imprescindibili non solo per far ripartire la scuola secondaria, ma per consolidare l’attività in presenza che gli alunni del primo ciclo continuano a svolgere.

La politica dovrebbe ascoltare il grido di dolore che in questi giorni stanno lanciando gli studenti, che in tutta Italia stanno facendo lo sciopero della dad e che oggi scendono in piazza a Potenza, con un presidio davanti alla regione.

Fanno bene gli studenti a farsi sentire, perché la chiusura delle scuole determina un deficit cognitivo ed un ritardo nell’apprendimento che pesa sul futuro di intere generazioni e che non può essere nemmeno lontanamente sostituito dalla didattica a distanza.

Noi siamo con loro, perché condividiamo la loro battaglia per la scuola in presenza, l’unica scuola possibile perché la relazione educativa si realizza in aula, perché l’apprendimento ha bisogno di spontaneità, di socialità, di emotività, di incontro.

Oggi sembra essersene convinta anche la Ministra, che fino a ieri ha tessuto le lodi della didattica a distanza, arrivando a definirla, nelle linee guida sulla Ddi (che risalgono ad agosto, quindi dopo il lockdown), come uno strumento educativo avanzato, che “agevola il ricorso a metodologie didattiche più centrate sul protagonismo degli alunni”. Affermazioni artificiose, destituite di qualsiasi fondamento pedagogico.

La ministra dell’Istruzione e il suo governo, come scrive correttamente Corrado Zunino in un bel dossier pubblicato mercoledì scorso su Repubblica, “sulla scuola sono arrivati sempre tardi”. Prima i banchi, poi i trasporti, poi il rinnovo delle graduatorie dei precari, da ultimo l’Atto di indirizzo sul contratto dopo che nella legge di bilancio non sono state previste risorse adeguate per ilsuo rinnovo.

Ritardi su ritardi, un errore dopo l’altro, scelte estemporanee, sintomo di un’evidente inadeguatezza politica.

Invece di ripetere, in maniera quasi stucchevole, il mantra della riapertura ad ogni costo, ergendosi a paladina della scuola in presenza dopo non aver fatto nulla per determinarne le condizioni, questo Ministro dovrebbe invece assumersi le sue responsabilità, che sono evidenti, evitando di scaricarle su altri.

Ai ritardi e alle inadempienze della politica nazionale si sono poi aggiunte le carenze e l’assenza di programmazione del governo regionale, da noi più volte denunciate.

Eppure sulla scuola (e sulla sanità) si misurerà la capacità della politica di immaginare il futuro del paese.

La pandemiaha evidenziato le criticità del nostro sistema di istruzione, caratterizzato da profonde disuguaglianze, sociali e geografiche, da elevati tassi di dispersione scolastica e di Neet, dal basso numero di laureati. Ed è su questi mali atavici che bisogna intervenire, attraverso un massiccio piano di investimenti, a partire dall’utilizzo delle risorse per la Next Generation Eu, che possa restituire centralità e qualità al nostro sistema di istruzione e formazione.

Abbiamo bisogno di grandi riforme e di scelte di fondo: generalizzazione della scuola dell’infanzia, obbligo scolastico a 18 anni, riduzione del numero di alunni per classi, edilizia scolastica innovativa.

Sono alcune delle proposte che la Flc ha da tempo avanzato per uscire dall’emergenza e rendere effettivo il diritto all’istruzione, puntando sul rilancio del sistema educativo come chiave di volta per lo sviluppo del Paese.

Attendiamo che la politica, non appena uscirà da questa insensata crisi, ne diventi consapevole e voglia aprire sulla scuola un grande dibattito pubblico.

 

 

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