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“Pensare al Mezzogiorno guardando al futuro”


Il processo di unificazione italiana viene presentato come una somma di annessioni al Regno di Sardegna. Il termine annessione ha un significato molto preciso ed il tema dell’annessione fa riferimento all’idea di uno stato, quello del Regno di Sardegna, che procede ad una serie di conquiste per dare vita al Regno d’Italia. Questo, però, viene interpretato da molti come un “semplice” ampliamento del Regno di Vittorio Emanuele II, cosicché (a partire dal 1861) inizierà la cosiddetta piemontesizzazione, ossia la trasposizione di un modello di governo che riguarda l’estensione delle leggi del regno della casata Savoia a tutto il territorio nazionale.

Il tema delle annessioni è del tutto sconfessato dalla storiografia liberale che ha valorizzato l’azione dei meridionali liberali già a partire dal 1799. Secondo l’opinione odierna di molti, l’Unità d’ Italia è il frutto di una colonizzazione interna; questa tesi, però, disconosce il contributo di tanti meridionali, dimenticando che dal 1848 il regime borbonico inizia a crollare per mano di una partecipazione popolare che appoggia il processo di liberazione nazionale avviato al nord. A questo punto ci si potrebbe chiedere se si è trattato di guerra di liberazione o guerra di occupazione. Il problema del mezzogiorno inizia ad emergere dalla metà degli anni ’70 dell’800, quando si capisce che il mito del buon governo piemontese non era stato sufficiente a risolvere queste disparità fra nord e sud.

I primi ad evidenziare le radici di questa problematica sono stati Villari, Franchetti e Sonnino, moderati cavouriani. Quello del meridionalismo è un tema al quale si dedicarono anche personaggi antigiolittiani come Salvemini, Sturzo e Gramsci che arrivarono alle stesse conclusioni dei primi citati (seppur occupandosi del problema in maniera differente). Il meridionalismo termina con il ventennio fascista, ma la questione meridionale tornerà successivamente grazie ad una nuova generazione di meridionalisti. A partire dal 1950 si istituisce la cassa per il mezzogiorno, grazie soprattutto ai fondi economici del Piano Marshall.

Il dibattito successivo al primo decennio della cassa per il mezzogiorno assume i caratteri generali della politica italiana legata al clientelismo, di conseguenza l’intervento dello stato non sarà più virtuoso come nel decennio iniziale. Da questi episodi è evidente che la questione meridionale non può continuare ad essere quella del passato. Oggi abbiamo l’obbligo di analizzare gli errori commessi in passato per capire cosa potremmo migliorare del nostro futuro, e quest’analisi deve essere condotta ponendo attenzione alle ragioni sensate del sud pur essendo consapevoli del fatto che molti problemi non sono stati ancora del tutto risolti (il problema della lotta sociale, quello dell’emigrazione, quello della dualità economica tra nord e sud e ancora quello della malavita organizzata).

L’azione meridionalista, fedele alla sua tradizione unitaria, svolge una funzione di controinformazione quanto mai opportuna riaffermando che il ruolo attivo del mezzogiorno è di vitale interesse nazionale. Infine, la lunga parentesi meridionalista del recente passato, le emergenze presenti, impegnano a formulare una proposta di crescita capace di rendere sostenibile la stabilizzazione finanziaria che annuncia lunghi anni di austerità. In questa prospettiva si impone la necessità di misurarsi con i problemi che il mercato globale pone alla nostra economia. A tal fine, occorrono coraggio e visioni pari a quelli che, nel secondo dopoguerra, avviarono (con il contributo decisivo del sud) il miracolo economico. La sfida per il meridionalismo è quella di riuscire, nonostante la forza politica più esigua del passato, a riaprire un dialogo per far intendere che il cuore di un realistico progetto di crescita del Paese, ora, sta a sud.

Vincenzo Petrocelli

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