Società e Cultura

ECLISSI DI LUCE – Storia di un bambino di nome Giovanni


“Spostati” urlò il vecchio strattonandolo.

Giovanni abbassò lo sguardo, timoroso, mentre la madre lo tirava a sé, stringendoselo sui fianchi.

“Ho fatto qualcosa di sbagliato?” chiese con voce sommessa.

La donna scosse il capo accennando un triste sorriso: “E’ che siamo tutti stanchi, piccolo mio, questo viaggio è interminabile”.

Lo stridio delle ruote in ferro sui binari riempiva il vagone, le persone, ammassate le une accanto alle altre, a fatica riuscivano ad ascoltare la propria voce. Un silenzio irreale, ammantato di ombre oscure, li aveva accompagnati fino ad allora. Nessuno osava parlare, mille domande, mille dubbi affollavano le menti mentre l’angoscia, lentamente, si faceva strada tra quelle anime. Giovanni si concentrò su una fenditura guardando con disinteresse il paesaggio che scorreva veloce. Infreddolito, si strinse ancora di più alla madre sognando una tazza di latte fumante. Lo sfregamento dei dischi sull’acciaio andò lentamente a scemare e, dopo qualche minuto, si fermò del tutto. Un brusio di voci attraversò quei corpi barcollanti ed esausti, stremati da fame, sete e posizioni innaturali per il tempo in cui le massicce porte in legno si spalancavano facendo filtrare le ultime luci del pomeriggio morente. Un ufficiale nazista,scortato da due guardie armate, si avvicinò al vagone allargando le braccia. Pronunciò alcune parole che Giovanni non capì, allora sentì una morsa allo stomaco mentre le persone iniziavano a prendere l’uscita e a disporsi ordinatamente in riga in un spiazzo sterrato. C’era anche quel vecchio, zoppicava e tossiva, tenendosi il bavero della giacca.

“Temevo non sareste mai arrivati – esordì in italiano un uomo di mezz’età trasponendo le parole dell’ufficiale – Siete i benvenuti. Tra poco farete una doccia, poi cenerete. Domattina a ognuno di voi verrà assegnato un compito”.

Il militare fece qualche passo avanti poi impartì degli altri ordini. Prontamente l’uomo di mezz’età, che indossava una specie di pigiama a righe, il volto emaciato dal quale staccavano degli occhialini di fortuna con le lenti frantumate, fece da interprete.

“ Gli uomini alla mia destra, i vecchi e le donne al centro, i ragazzini a sinistra”.

Centinaia di figure diedero il via ad un valzer scomposto, i figli non avevano alcuna intenzione di staccarsi dalle madri, i mariti dalle mogli, i fratelli dalle sorelle ma quella resistenza fu presto vinta dalle urla e dagli spintoni dei soldati che si trasformarono presto in una fredda azione di convincimento. Giuseppe lasciò che la sua mano scivolasse lentamente via da quella della madre, inseguendone il profumo e cercando di non perderla di vista mentre attraversavano una cancellata con sopra delle lettere forgiate in ferro battuto che ebbe non qualche difficoltà a leggere.

“Arbeit Macht Frei”.

Si chiese cosa volesse significare e pensò fosse un saluto di benvenuto. Forse, quel posto non doveva essere malaccio, bastava comportarsi bene e obbedire agli ordini. Si convinse che avrebbe rivisto presto sua madre. Marciarono fino ad un enorme fabbricato che aveva diverse porte in ferro massiccio, i soldati li suddivisero in gruppi invitandoli, una volta dentro, a spogliarsi in uno stretto corridoio, ai muri erano fissati dei ganci, sopra ognuno spiccava un numero. A Giovanni toccò il 751. Ripose vestiti e scarpe su una panca in legno e si accorse che su un pilastro erano affissi dei cartelli in diverse lingue tra cui uno in italiano che recitava: “Morte ai pidocchi”. Sogghignò, fantasticando su quegli insetti che saltavano da una testa all’altra e che ora avevano i minuti contati. Quindi, i soldati li fecero entrare in un ampio salone bianco attraversato sul soffitto da bracci in ferro che sostenevano dei soffioni. Giovanni ricordò quella scritta mentre una porta in ferro si chiudeva alle sue spalle. Fu il suo ultimo pensiero prima che la luce si eclissasse.

Mimmo Toscano

 

 

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