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Covid-19: riscoprire il piacere della lettura con le nostre proposte (III e ultima parte)


“Interrogo i libri e mi rispondono. E parlano e cantano per me. Alcuni mi portano il riso sulle labbra o la consolazione nel cuore. Altri mi insegnano a conoscere me stesso”.

Francesco Petrarca

La terza e ultima parte delle proposte alla lettura, suggerite dalla nostra Collaboratrice e Curatrice di questa rubrica Aurora Alliegro, per trascorrere questo forzato isolamento alla ricerca, nei libri consigliati, di se stessi o di chi vi pare.

Per chi non avesse letto la prima e la seconda parte, correte a farlo, a questi link:

Covid-19: riscoprire il piacere della lettura con le nostre proposte

Covid-19: riscoprire il piacere della lettura con le nostre proposte (II parte)

La nostra Aurora è una sognatrice e ama farvi partecipe di letture segnanti che lasciano emozioni dentro di noi. Di seguito la terza e ultima parte della sua rubrica:

 

    7. Leggere astrazioni

Léggere astrazioni, leggère astrazioni. Scegliete voi l’accento. L’obiettivo di questo percorso di lettura non cambierebbe. La finalità è quella di proporvi storie fluttuanti, che utilizzino stili liquidi, che sfiorino continuamente l’astrazione e che lascino molto alla vostra immaginazione.

Il primo testo in questione è un romanzo di Italo Calvino, si tratta de “Le città invisibili”, pubblicato nel 1972. Il centro narrativo è costituito dal resoconto dei viaggi immaginari di Marco Polo, raccontati al sovrano Kublai Kan, il quale ascolta il viaggiatore con melanconia e disincanto, consapevole dell’autodistruzione cui va incontro il suo Impero. L’atteggiamento razionalistico e imperturbabile del sovrano dà presto spazio alla curiosità e alla speranza di chi non può smettere di credere in una soluzione. Kublai e il lettore, allo stesso tempo, scavalcano i confini del possibile, per cominciare a viaggiare in un universo visionario e impossibile, dove la città non è mai soltanto un luogo, essa è (secondo le categorie di Calvino) memoria, segno, linguaggio, scambio, desiderio, nome, segreto, morte e tanto altro.

La seconda proposta è il romanzo breve di Alessandro Baricco, ossia “Seta”, edito originariamente nel 1996. Il protagonista è Hervé Joncour, un mercante di bachi da seta. Ogni anno egli raggiunge il Giappone, per poi far ritorno da sua moglie Hélène. Durante i suoi viaggi, tuttavia, egli farà un incontro destinato a turbare la sua vita e a indurlo a rivalutare la sua intera esistenza. Il colpo di scena finale restituirà a quest’uomo la serenità e il senso di una vita trascorsa accanto alla persona più giusta. Com’è caratteristico del suo autore, l’opera si contraddistingue per uno stile molto personale, Baricco infatti predilige sequenze rapide, spazi bianchi, sintagmi brevi, l’iterazione quasi cantilenante, dove la seta stessa è simbolo della leggerezza, della limpidezza e dell’impalpabilità del romanzo.

Infine un’opera frutto delle operazioni sperimentali della scrittrice inglese Virginia Woolf, sto parlando de “Le onde”, pubblicato nel 1931. È sicuramente il romanzo più eccentrico della sua autrice dal punto di vista stilistico, orientarvisi è quasi impossibile in virtù della struttura narrativa dell’opera, in cui sei amici si alternano in un monologo. Le voci si sovrappongono, si confondono nel tempo che scorre inesorabilmente, si scagliano le une contro le altre, come delle vere e proprie onde destinate a infrangersi fra loro. Un romanzo definito dalla grande Marguerite Yourcenar “rivoluzionario”, basato sul ritmo piuttosto che sulla trama, col fine di trasmettere al lettore la precarietà del tempo, il senso di sei vite che si intrecciano fra loro dall’infanzia alla maturità, tra incontri, separazioni, ferite e rimorsi.

      8.“Abre los ojos” (Apri gli occhi)

Abre los ojos (Apri gli occhi) è il titolo di un film del 1997, diretto da Alejandro Amenábar, di cui più recentemente è stato prodotto il remake hollywoodiano Vanilla Sky, con la regia di Cameron Crowe. Una pellicola complessa, difficilmente decifrabile, la cui chiave e il cui enigma si celano proprio nella ricorrente espressione che dà nome al film, un richiamo al presente che riecheggia fin dalle prime battute, un invito a guardare al di là di quella che crediamo essere la realtà per cogliere i segnali, spesso evidenti, della finzione onirica o, allargando la prospettiva, per comprendere qualcosa che celiamo dietro illusioni da noi edificate.

In questo senso, un testo dai tratti rivelatori per il suo protagonista è certamente “Con gli occhi chiusi”, un romanzo autobiografico di Federigo Tozzi del 1919. Antitesi del titolo dato al nostro ottavo percorso di lettura, questa proposta viene abilmente sintetizzata nei suoi contenuti dal critico letterario Giacomo Debenedetti: «Pregnante labirintico inesorabile capolavoro, […] Con gli occhi chiusi è la storia di un amore che il protagonista Pietro con tutti i mezzi porta al fallimento per punire, con la vista del proprio scacco, chi gli ha cagionato quell’impotenza psicologica di amare». L’amore di Pietro per Ghisola diventa metafora della condizione del protagonista, il quale è cieco e sordo di fronte ai tradimenti di lei, non vuol comprenderne i veri sentimenti, fino all’accecante rivelazione finale.

Seconda proposta è il racconto giovanile “Le notti bianche”, redatto dal grande scrittore russo Fëdor Dostoevskij e pubblicato nel 1848. Opera anch’essa fluttuante e sfuggente, in cui il protagonista viene tratteggiato come un sognatore, profondamente distaccato dalla realtà che lo circonda e da qualsiasi rapporto umano. A risvegliarlo, nella magia vagamente inquieta delle nordiche notti bianche, è l’incontro notturno con Nasten’ka, una giovane fanciulla dalla particolare sensibilità, subito colpita dal carattere timido e impacciato di lui. I due si aprono l’un l’altro, si rivelano le proprie inquietudini e danno vita a una rara intesa. È proprio Nasten’ka a strappare il protagonista alla sua angusta quotidianità ed è sempre lei a procurargli forse il suo più amaro dolore. “Mio Dio! Un intero attimo di felicità! È forse poco, foss’anche esso il solo in tutta la vita di un uomo?…”

Frutto di una lunga gestazione, la terza opera di cui parliamo, “Uno, nessuno e centomila”, uscì nel dicembre 1925 sotto forma di romanzo a puntate. Si tratta forse del più celebre testo del suo autore, Luigi Pirandello, il quale lo definisce in una lettera “il più amaro di tutti, profondamente umoristico, di scomposizione della vita”. Anche in questo caso il personaggio principale, Vitangelo Moscarda, vive inizialmente nella più completa ordinarietà. È un dialogo con sua moglie ad “aprirgli gli occhi” e ad indurlo a intraprendere un percorso di vita nuovo, nel tentativo di liberarsi delle false immagini che gli altri hanno di lui. Piuttosto che conformarsi alla “maschera” impostagli, Vitangelo preferirà allontanarsi dalla moltitudine, smettendo di essere uno, come tanti, per diventare “nessuno”.

      9. The dark side

Il celebre autore de “Le avventure di Tom Sawyer”, Mark Twain, asserì che ognuno di noi è come una luna: ha un lato oscuro che non mostra mai a nessun altro. Talvolta, tuttavia, è il nostro “dark side” a prendere il sopravvento, a stravolgerci e a ridurci a uno stato primordiale, quello di bestie capaci di qualsiasi cosa pur di sopravvivere.

Il primo testo volto a scavare nei meandri più bui della nostra psiche è “Delitto e castigo” (1866), un romanzo psicologico di Fëdor Dostoevskij. Il tema centrale viene sviluppato a partire da un’idea formulata in una lettera in cui l’autore affermava che il delinquente, sollecitato dalla sua coscienza, esige egli stesso la sua punizione. Il protagonista è Raskolnikov, ex studente universitario costretto dall’indigenza a lasciare gli studi e ad abbandonarsi a una vita che ha perso la sua raison d’être. Spirito inquieto, diviso fra ragioni personali e motivi di ordine sociale, si convincerà di dover commettere un brutale omicidio. Alla sua storia si uniscono le tragedie di altri umili, tra cui la prostituta Sonja Marmeladova, la sola a far rifiorire un germe di speranza nella vita di Raskolnikov. Un dramma senza tempo, capace di manifestare la tragica scissione tra remissività e rivolta, delitto e colpa.

La seconda proposta è quella de “Il signore delle mosche” (il titolo fu scelto da T.S. Eliot alludendo a Satana), un romanzo allegorico pubblicato nel 1954 dallo scrittore inglese William Golding, Premio Nobel per la letteratura 1983. Nel corso di un conflitto planetario, un aereo precipita su un’isola deserta. I ragazzi britannici sopravvissuti si riuniscono e provano a organizzarsi e ad autogovernarsi. I loro tentativi si riveleranno tuttavia disastrosi: esploderanno tensioni latenti, paure del tutto irrazionali e comportamenti asociali. L’autore si serve così dell’utopia negativa (“distopia”) per svelare gli aspetti più selvaggi e repressi della natura umana, dando vita a un’allegoria perfetta della società, in cui a governare sono gli egoismi individuali, anche nello stato di natura.

Il terzo testo in questione si propone di analizzare un male di più ampio raggio, quello radicato nei sistemi politici e sociali che governano le nostre vite e che, nei casi più estremi, le controllano a proprio vantaggio.

George Orwell, nell’insuperabile “1984”, un romanzo distopico pubblicato nel 1949, immagina un futuro in cui il mondo sia diviso in tre superstati in guerra fra loro: Oceania, Eurasia ed Estasia. L’Oceania è governata dal “Grande fratello” (molto antecedente al noto programma televisivo italiano!), una sorta di sguardo onnipresente, in grado di vedere e sentire tutto ciò che accade agli uomini, un organismo di gran lunga assimilabile alle grandi dittature novecentesche. Il “regime” è dotato di grande consenso in virtù dell’incoraggiamento al cosiddetto “bipensiero”, ossia la facoltà di sostenere simultaneamente due idee tra loro contraddittorie. L’aspirazione più assurda del Grande fratello è quella di sopprimere il pensiero umano, quando finalmente di esso non ci sarebbe più stato bisogno. In questo quadro così fuligginoso due ribelli, Winston Smith e Julia, lottano disperatamente per preservare la propria identità di esseri umani, connotata dal libero pensiero.

      10. Voci immortali

In conclusione, vorrei lasciarvi con tre testi “immortali”, in grado di proiettare il proprio valore fino ai giorni nostri proprio in virtù dei temi che affrontano, che la natura stessa dell’esistenza rende autenticamente eterni. Perché, come ha detto Italo Calvino, un classico è un libro che non finisce mai di dire quel che ha da dire.

La prima proposta è il “Simposio” di Platone, un dialogo risalente al IV secolo a.C.. Costituito da un florido banchetto e da una serie di discorsi improvvisati su un tema scelto, nella Grecia antica il simposio era un momento conviviale, solitamente organizzato per celebrare un evento importante nella vita della polis. Nel caso del Simposio platonico, l’argomento selezionato dai convitati è l’Éros. Diverse sono le testimonianze offerte dai presenti, tra queste emergerà la narrazione del mito degli androgini, affidata al commediografo Aristofane.

Egli racconta che in origine esistevano unicamente gli androgini, esseri primitivi che potevano essere composti di due metà maschili, di due metà femminili, o di una metà maschile e di una femminile insieme; gli androgini vennero divisi da Zeus per ridurre la loro forza. È in quel momento che nacque l’amore: le due parti, una volta divise, sentiranno per sempre un vuoto lacerante, una ferita perennemente aperta, una mancanza apparentemente incolmabile e si dedicheranno incessantemente alla ricerca confusa della propria metà perduta per riottenere quella originaria completezza. «E quando uno incontra quella che fu la sua metà, sente allora nascere in sé quel sentimento di amicizia, di intimità, di amore per cui non sa più vivere separato dall’altro, nemmeno un istante. […] E la ragione di tutto questo è che tale era la nostra antica natura e che noi eravamo uniti; e lo struggimento per quella perduta unità, il desiderio di riottenerla, si chiama amore

Il secondo testo è “L’amicizia” (Laelius de amicitia), un’opera di Marco Tullio Cicerone, scritta tra l’estate e l’autunno del 44 a.C. sotto forma di dialogo filosofico. Si tratta di una vera e propria esortazione a riconoscere l’insostituibilità dell’amicizia, perché essa è “un’intesa sul divino e sull’umano congiunta a un profondo affetto” che nasce per natura e non per calcolo utilitaristico, e costituisce il bene più grande, dopo la sapienza, concesso agli uomini.

Per finire (stavolta davvero!) vorrei proporvi le “Epistole morali a Lucilio”, una raccolta di 124 lettere redatte da Lucio Anneo Seneca durante il secessus dalla vita pubblica (62-65 d.C.). Un epistolario dedicato ad esplorare la coscienza individuale alla luce della filosofia, in cui Seneca, indirizzando i propri insegnamenti al suo discepolo Lucilio, vuole in realtà abbracciare un pubblico più ampio e proporre lezioni di valore universale, che oggi più che mai si avvicinano alla nostra sensibilità. Egli si occupa di temi come la libertà dai condizionamenti esterni, la solidarietà e il rispetto per tutti gli uomini (schiavi compresi) e soprattutto la fugacità del tempo e la necessità di imparare a impiegarlo bene. Un messaggio immortale, un invito a rivendicare sé stessi (“vindica te tibi”) e il valore delle proprie vite, per impedire che il tempo ci scivoli via senza averci ben inciso la nostra volontà.

«Comportati così, Lucilio mio, rivendica il tuo diritto su te stesso e il tempo che fino ad oggi ti veniva portato via o carpito o andava perduto raccoglilo e fanne tesoro. Convinciti che è proprio così come ti scrivo: certi momenti ci vengono portati via, altri sottratti e altri ancora si perdono nel vento. Ma la cosa più vergognosa è perder tempo per negligenza.

Pensaci bene: della nostra esistenza buona parte si dilegua nel fare il male, la maggior parte nel non far niente e tutta quanta nell’agire diversamente dal dovuto. Puoi indicarmi qualcuno che dia un giusto valore al suo tempo, e alla sua giornata, che capisca di morire ogni giorno? Ecco il nostro errore: vediamo la morte davanti a noi e invece gran parte di essa è già alle nostre spalle: il passato appartiene alla morte.

Dunque, Lucilio caro, fai quel che mi scrivi: metti a frutto ogni minuto; sarai meno schiavo del futuro, se ti impadronirai del presente. Mentre si rinvia, la vita scorre via»

(Epistola I, Seneca)

 

Aurora Alliegro

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