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Calpestare il pane, calpestare la vita: verso la deriva dell’intolleranza.


Voglio rammaricarmi e riprendermi la facoltà di indignarmi, per il gesto di calpestare il pane, partendo da due affermazioni:C’è un problema che non si può ignorare: l’immigrazione. E’ ora di dire basta, serrare i ranghi e chiudere le porte. Perché questa gente con noi non c’entra niente: venera un Dio diverso dal nostro, parla una lingua diversa dalla nostra, veste in modo diverso dal nostro. Spesso sono veri e propri selvaggi. Quando non sono criminali. O addirittura terroristi. Occorre fermarli alle frontiere. Anzi, meglio nei porti di partenza. Ed estradare gli indesiderabili, rispedirli a casa loro. Quelli che rimangono, invece, devono integrarsi, non possono venire qui e pensare di mantenere usi e costumi di un mondo che non ci appartiene. Sono voluti venire da noi? Allora devono adeguarsi.” Pensereste che sia stato detto a Pontida o da qualche Xenofobo Italiano? No, è il pensiero centrale del dibattito pubblico a New York nel 1909. Mentre,  Il capo della polizia di New York, generale Theodore Bingham diceva: <<l’85% dei criminali newyorkesi sono di origine esotica, un quinto di loro sono Italiani, marmaglia di miserabili farabutti, ex detenuti e latitanti. (…) L’obiettivo della mia vita è quello di annientare questi schifosi criminali stranieri che sono venuti a turbare la serenità e la pace di casa nostra. Con i loro dialetti incomprensibili, la loro cucina maleodorante, senza un mestiere, con una preoccupante propensione ad ignorare la legge e la loro fede “papista” non si integreranno mai con la popolazione locale.>>. Oggi in America ci sono cittadini di origine Italiana che sono sindaci, senatori, governatori.  Nel nostro paese, quegli stessi attacchi a cui un secolo fa erano sottoposti gli Italiani che cercavano miglior vita in America sono rivolti a chi sbarca da paesi più poveri.

Ora direte, che c’entra tutto ciò con il pane? C’entra nella misura in cui lo si calpesta per disprezzare lo straniero impedendogli di ricevere assistenza volontaria per sopravvivere. Ma su ciò non occorre dilungarsi, l’immigrazione è un problema; ci sono immigrati che delinquono, che infastidiscono, che stuprano, che spacciano droga e che ostentano un volgare disinteresse per le leggi civili e religiose dell’Italia. E, purtroppo, questo fenomeno si manifesta in quartieri e zone d’Italia dove le problematiche sono già al limite e dove la cultura non è certo vocata a sviluppare discorsi inclusivi, d’accoglienza; talvolta non per spirito di intolleranza ma per uno spirito di protezione che, dall’enfasi con cui si lasciano filtrare i messaggi di continui sbarchi di immigrati, genera paura e fobie di una invasione travolgente. È sulla memoria e sulla conoscenza che la partita deve trovare il quid pluris che può aiutare a resistere ad istinti di conservazione che poi sfociano in gesti che mai in Italia ci saremmo aspettati di vedere più. Dopo l’ondata di immigrazione verso le Americhe nei primi anni del secolo scorso alcuni hanno sperimentato fatti simili all’interno dei propri confini di Bandiera; non è storia vecchia il cartello che informava della non disponibilità ad affittare abitazioni ai meridionali, né che l’accesso in talune zone fosse vietato a cani e Napoletani. Ma ancora, pochissimi anni addietro, si auspicava un Vesuvio riparatore che facesse pulizia. Ma questa è un’altra storia. Veniamo al pane. Calpestarlo significa scivolare nella sfera della massima inciviltà. Il pane è il simbolo della vita; il grano è la massima espressione di benessere di una popolazione ed il pane, da esso derivato, è il frutto di una filiera lavorativa che siamo soliti associare al sudore del lavoratore onesto, allo sforzo dell’artigiano competente, all’amore della nonna nel confezionare manicaretti, al simbolo della vita quando lo invochiamo come pane quotidiano. Il pane è stato da sempre simbolo sacro e di onestà. Non è un caso che usiamo dire che si lavora onestamente per portare il pane a casa; o che i propri figli debbono mangiare pane onesto; ma anche che si sopravvive resistendo alle intemperie della vita per portare un tozzo di pane a casa. Calpestarlo, a mio parere, ha sancito la definitiva mancanza di umanità di questa generazione. Ed è arrivata l’ora, a mio parere, di mettere in prima fila, nel dibattito quotidiano, questa deriva umanitaria in cui, con la complicità dei ridondanti messaggi mediatici, l’Italia si è andata a cacciare. Questo non significa che il fenomeno immigrazione debba essere trascurato, tutt’altro; il fenomeno deve essere gestito in maniera da integrare subito chi vuole restare in Italia e ricostruirsi una vita; ed aiutare gli altri, che sono fuggiti dalle guerre, a ricongiungersi con i propri cari sparsi in altre zone d’Europa o d’oltreoceano.  Bisogna fare presto, altrimenti a breve non ci sarà più niente da tutelare perché un popolo che perde il senso dell’umanità prima o poi incomincerà a sbranarsi come le belve, che appunto non hanno caratteristiche tali da essere considerati umani.

Gianfranco Massaro – Agos

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