Oltre quattromila lucani laureati hanno lasciato la Basilicata in cinque anni. È il dato più alto del Mezzogiorno in rapporto alla popolazione.
Eppure negli ultimi tre anni il tasso di occupazione è passato dal 52,5 al 56 per cento.
Un paradosso solo apparente, ben spiegato dal Rapporto Svimez per il 2025, presentato a Roma.
I posti di lavoro che si sono creati sono concentrati soprattutto nei servizi e nelle costruzioni: settori spesso a bassa specializzazione, con contratti a tempo determinato e salari che non bastano.
Pur essendo capace di formare competenze di alto livello, la regione non riesce a trattenerle. Solo il 27 per cento degli studenti lucani sceglie l’Unibas, mentre l’83 per cento va fuori per la magistrale.
Svimez – l’Associazione per lo Sviluppo dell’Industria nel Mezzogiorno – la chiama “trappola del capitale umano”: investimenti pubblici in formazione che alimentano la crescita di altre regioni o altri paesi.
Capitolo PIL. Mentre tra il 2021 e il 2024 quello del mezzogiorno è cresciuto dell’8,5 per cento, la Basilicata è rimasta ferma a +2,3 per cento: quasi quattro volte meno della media del Sud Italia.
I numeri parlano chiaro: tra il 2021 e il 2024 l’industria lucana ha visto erodere il proprio valore aggiunto del 14,1 per cento. Solo nei primi nove mesi del 2024 Stellantis Melfi ha perso 90mila unità di produzione: meno 62 per cento. E – sempre secondo le analisi Svimez – i dazi di Trump rischiano di cancellare altri quattrocento posti di lavoro in Basilicata.
E le proiezioni demografiche? Sono una sentenza: meno 22,5 per cento di popolazione entro il 2050 – il calo più forte d’Italia insieme alla Sardegna.




