Si chiude l’estate. Usciamo da circa tre settimane intense di “delirio” culinario, religioso e musicale. Eravamo moltitudine di gente che in fila agognava un piattino con salsiccia o fagioli, formaggi o involtini, pancette o cotiche ma anche cavatelli con peperoni cruschi o colate di “nutelle” varie come lava su ogni tipo di manicaretto; in tarda sera ed a qualsiasi orario. Borghi o paesi pieni di gente che fendevano nuvole di fumo e vapori provenienti dai barbecue e dai pentoloni li messi per l’abbisogna di un esercito con i trigliceridi impazziti; satolli e rubicondi ma comunque ansiosi di riempire la “gavetta” con le specialità culinarie del luogo.
Le processioni piene di noi – gente agghindata – appena riemersi da tavolate piene di sottolio tipici, piatti colmi di pasta fatta a mano con ragù e braciole varie, “snake” di carne insaccata di ogni ordine e grado e purtuttavia la sera, dopo aver percorso strettoie, vicoli e gradinate impervie al fianco di “bandisti” pingui con i clarinetti in resta e i tromboni in spalla, al seguito dei Santi e delle Madonne, approdiamo negli angoli di paese dove ci sono chef cicciuti con bandane improvvisate e grembiuli unti e bisunti.
L’ultimo step è la platea ai piedi del palco dove si esibisce, solitamente, un complessino che snocciola tarante, tarantelle e brani degli anni sessanta e settanta, con l’eccezione dei cantanti di grido, che strabordano la sera del santo patrono, quando la serata si chiude con i fuochi pirotecnici.
Tornata la normalità, ognuno scoprirà che ci sono bollette e tasse da pagare, figli da preparare per il nuovo anno scolastico e speranze da coltivare per proseguire il cammino della vita in questo mondo incerto, dimenticato dal frastuono dei suoni, dai lazzi e frizzi “agostani”.
Ma non vuole essere il racconto di una tragedia; anzi. È solo la velleità di fare un bilancio per osservare il divenire del mondo e della nostra vita che si alterna tra inverni ed estati, perché Autunno e Primavera sono solo un punto e virgola tra le stagioni che ci avvolgono totalmente. Qui da noi l’inverno arriva il 28 agosto e la primavera arriva quando si chiude la scuola e si vedono le mietitrebbiatrice che si spostano da un terreno all’altro. Ma non è la catastrofe, è l’apoteosi di un popolo che si unisce e si riunisce. Intere famiglie riassaporano lo stile della tavola con attorno tutti i cari – non importa se le nostre nonne o zie esagerano con le portate -, dove si fanno i bilanci e le comparazioni con mondi e realtà diverse. Dove si vuole resistere al richiamo forte della città o di converso al richiamo delle radici.
Si spendono tanti soldi; il monito di Monsignor Sirufo ha agitato i sentimenti di tutti. Le feste con le elargizioni rappresentano il finanziamento di attività immateriali che danno comunque apporto ed ossigeno alle tante attività che annaspano d’inverno, ma anche alle tante anime che vivono “nell’afasia” più profonda durante l’anno. E dunque ben vengano i fiumi di denaro che alimentano le tre settimane di agosto, come la terapia intensiva che cerca di “risuscitare” uomini esausti dalla stanchezza e dall’apatia. Ben vengano i politici che si mostrano con il fercolo in spalla, ben vengano le maratone culinarie che sfiniscono pure i trigliceridi per le fatiche stagionali. Ben vengano le maratone per partecipare ai matrimoni celebrati nel pieno di agosto, costringendoci a (ri)mangiare piatti gourmet dopo interminabili serate in fila ai banchi delle Pro Loco o delle sagre di cui dicevo sopra. Un punto mi trova molto d’accordo, con il Monsignore ovvero che non basta sentirsi ricchi per un giorno. Le energie incassate in questo intenso periodo d’agosto non bastano a reggere né le endorfine né le contabilità durante il resto dell’anno.
Occorre, a mio parere, rendersi protagonisti durante l’anno per costruire gli eventi che poi dovranno esplodere ad agosto, in guisa da rendere la vita, dal 28 agosto al 28 giungo, degna di essere vissuta. In ogni paese, se lo spettacolo fosse il risultato di un lavoro invernale che ha visto protagonisti i “paesani” con il loro apporto, rappresenterebbe l’epilogo di undici mesi vissuti pieni e consapevolmente insieme. Voglio parlarvi di un esempio o, se vogliamo dirla diversamente, di un esperienza che ho avuto modo di osservare nell’alta valle del Sauro. A Corleto Perticara vi sono diverse associazioni, che nella competizione rappresentano, poi, il risultato elevato che dicevo prima. Consentitemi un esempio di tipo geometrico: due o un fascio di rette parallele non si incontrano mai, ma secondo i principi della geometria descrittiva si incontrano in un punto definito improprio, posto all’infinito. Ora prendiamo, per semplificare, due rette che chiameremo La Fenice e La Pro Loco e paragoniamoli agli elementi paralleli molto noti ovvero il binario su cui sfrecciano i treni, composto da due rotaie (rette) che proprio perché paralleli e in continuo sforzo di incontrarsi non incontrandosi mai rappresentano un elemento compiuto ed utile che chiamiamo “strada ferrata”, su cui si muovono treni che trasportano moltitudine di pendolari e passeggeri. In questa competizione tra associazioni nasce la forza che genera entusiasmo, fatica, felicità e vita in questi luoghi che durante l’anno sarebbero fantasmi di loro stessi, fermi immobili, ad attendere il 28 giugno per vedersi percorsi da gente che li invade con curiosità, con nostalgia, con amore o con gioia di rivedere i propri cari. Le associazioni dei paesi sono le risorse che mantengono viva la fiammella durante l’anno e se si comportano come un fascio di rette enunciato nei teoremi della “geometria descrittiva” animeranno gli entusiasmi degli abitanti, che saranno protagonisti e non passive figure in attesa delle orda estive. Ecco, dunque, la destagionalizzazione degli eventi, ma non sia però la scusa per distrarci rispetto ad altre infrastrutture materiali che ci spettano e che non devono e non possono essere sostituite dalle elargizioni estive a favore delle Pro Loco ed anche delle diocesi, cosa di cui il Monsignore ha dimenticato di dire nell’omelia di San Rocco di Tolve. La Fenice e Pro Loco a Corleto Perticara così come Auser ed IperUranio sono, e devono essere l’esempio concreto della competizione parallela come ho riportato, spero correttamente, nella mia reminiscenza di geometria descrittiva. Ovviamente è inutile dire che il mio ragionamento su Corleto Perticara è replicabile in ogni angolo di Basilicata. È, per i motivi di cui vi dicevo, un bilancio positivo seppur non bastevole per risollevare le sorti di queste lande desolate del meridione.
Gianfranco Massaro – Agos