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Presentato il Rapporto 2019 “Il Mercato del Lavoro in Basilicata”: trend negativo nel 2018


“Il disegno di un nuovo modello di sviluppo, tutto lucano e coerente con il patrimonio della regione, è quel che la società locale chiede con vigore crescente e che, al contrario fatica a trovare risposte”. E’, in sintesi, la “lettura” del segretario generale del Censis Giorgio De Rita delle trasformazioni e delle relazioni sociali nella regione che sono indagate ed approfondite nel Rapporto 2019 “Il Mercato del Lavoro in Basilicata”. Il Rapporto, a cura del Cseel (Centro Studi Sociali e del Lavoro ) Basilicata, in  collaborazione con la Uil – presentato oggi all’Unibas in un incontro con il pro-rettore prof. Angelo Masi – oltre ai dati degli indicatori economici e sociali più rilevanti, contiene valutazioni, approfondimenti ed idee-proposte elaborati dai ricercatori coordinati dal prof. Giancarlo Vainieri.

Il quadro di partenza. Nel  pentagramma del mercato del lavoro lucano nel 2018 si addensano i segnali di riduzione del trend positivo registrato nell’ultimo triennio (2015 occupati 189.00, 2016 occupati 192.000, 2017 occupati 187.750,2018 occupati 187.000). Nel IV trimestre 2018 si è registrata una diminuzione considerevole della base occupazionale rispetto al trimestre precedente, di ca.4000 unità, con una riduzione medesima di circa 4.400mila rispetto al dato del IV/2017.Il quarto trimestre, però, è spesso caratterizzato da fenomeni di stagionalità che riducono lo stock occupazionale in forma temporanea. Tuttavia, nei successivi trimestri del 2018 i livelli occupazionali non risalgono, per cui l’anno si chiude con uno stock medio di 187.000 unità, 750 in meno rispetto al 2017. La ripresa del mercato del lavoro si è quindi interrotta, in corrispondenza con l’esaurirsi della spinta della ripresa economica.

Le coordinate, gli indicatori del lavoro lucano, nel 2018, specie nel secondo semestre – spiega il prof. Vainieri – propendono per una ‘non ripresa’ dei fattori e dei fenomeni produttivi locali. È la conferma di una tendenza involutiva, come di una inclinazione, un respiro lento senza scuotimenti, un po’ ‘sui generis’ rispetto alle altre regioni meridionali. Nel complesso sembra rallentare e fermarsi, quasi ad incrinarsi, quel ‘cammino di lenta ripresa’ iniziato nel 2014/15 come si intravedeva già negli ultimi due trimestri del 2017. Il fenomeno della ‘non ripresa’, dei ‘ritorni’, quando pure si intravedono virtuosità nel ciclo, fino alla faticosa ripresa degli assetti occupazionali pre-crisi (i 192.000 occupati del 2007, con una perdita negli anni della crisi di ca. 15.000 occupati). Un obiettivo vicino, che tuttavia per converso si allontana nel tempo. Sono tendenze-spia di un funzionamento distorto del mercato del lavoro, “incespicante”, ancora invalido e non radicato nella valorizzazione dei fattori produttivi locali.

Da un punto di vista socio-culturale si palesa un fenomeno che il presidente del Cseel definisce di un “vitalismo condizionato” che assale il “soggetto famiglia”. L’invincibile gene egoista dell’impresa, dell’individuo, della famiglia. Una potenza straordinaria di sopravvivenza nei periodi di crisi. Un animus che ha operato, accelerando nella ripresa del 2016, rallentando negli ultimi trimestri dell’anno appena concluso.

Dai dati agli spunti di valutazione. C’è materia – sottolineano Vainieri e Vaccaro – per elaborare, reinventare una ‘visione per il futuro’ della Basilicata fondata da un lato sul ‘fuori’ dell’economia regionale, le sue componenti, le leadership d’impresa, connessi con le tendenze del mercato globale; dall’altro, centrata sull’internalità dei processi di sviluppo, sospinti dalle istituzioni e dalla società locale, per massimizzare il potenziale di risorse della regione verso il sistema Paese. Un lavoro rafforzato dal supporto del Censis  che intendiamo offrire prima di tutto al Governo Regionale ma anche a tutte le componenti del mondo produttivo, associativo e sociale, promuovendo un primo momento di confronto.

Le valutazioni degli esperti del Cseel e dei dirigenti della Uil sono all’insegna della necessità di affermare la discontinuità, o come lo definiscono “un cambio di paradigma”. Di qui il filo rosso del ragionamento del Rapporto 2019.

Per Carmine Vaccaro “occorre una discontinuità, uno stacco, un cambio di paradigma.

Una regione immaginata, luogo di sperimentazione e verifica di nuove pratiche politiche ed economiche a partire dalle notevoli risorse disponibili: acqua agroforestale energia cultura dei borghi e ruralità. L’idea di fondo è che la Basilicata, con una programmazione ‘vera’, dovrà ripensarsi dentro un sistema che metta in sicurezza l’ambiente rafforzi la piattaforma logistica agroindustriale e in pari tempo riunisca in un quadro sostenibile le risorse del petrolio e la vocazione delle aree interne. Un vero polo produttivo lucano ‘di mezzo’ fra i due distretti metropolitani campano e pugliese.

“Serve allora, ancora di più – sintetizza il prof. De Rita –  una condivisione tra gli attori dello sviluppo e serve una coesione finanziaria di alto profilo, capace di innervare e sostenere i processi industriali e la nuova imprenditoria. In una logica per quanto possibile anche provocatoria come qualcuno ha fatto, opportunamente, proponendo la costituzione di un fondo sovrano per la gestione e la valorizzazione delle risorse naturali, in primo luogo del petrolio. Condivisione che, dice il Rapporto, potrebbe nascere attorno a un nuovo patto per lo sviluppo o a nuovi patti locali per alcuni sottosistemi locali (i giovani e le nuove imprese, l’innovazione tecnologica, l’inclusione sociale…) e a un nuovo ciclo di programmazione strategica. Vale anche qui il senso della provocazione, del porre il problema in termini nuovi. Vale in Basilicata come in tutto il resto dell’Italia ma non va dimenticato che il nostro è e resta un modello di sviluppo basato sulla coesione sociale pur in un quadro completamente cambiato. Ed ecco che torna, forte e chiaro, il richiamo del Rapporto – aggiunge De Rita – a guardare in avanti senza però perdere di vista l’importanza fondamentale di sostenere e recuperare chi è più debole sotto il profilo economico e sotto quello sociale. Le diseguaglianze sono un fattore essenziale dello sviluppo ma devono essere riconosciute come tali e non restare in un indistinto groviglio nel quale tutto appare confuso e irrimediabile. Nella lettura della crisi sta allora anche la voglia interpretativa che il Rapporto esprime e che condensa in una chiave del futuro:  trovare la giusta alchimia tra welfare, impresa e ricerca e mercato del lavoro come traccia di impegno per il futuro”.

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