Petrolio in Val d'Agri e Valle del Sauro

La Val d’Agri è una delle aree italiane a maggiore potenziale sismogenetico


La dichiarazione del prof. Franco Ortolani sul terremoto della scorsa notte – “le faglie attive che delimitano la depressione della Val d’Agri sono quelle sismogenetiche in grado di causare eventi di elevata magnitudo come quello del 1857, che provocò oltre 10.000 vittime” – non va assolutamente sottovalutata. Da studioso-storico mi sono occupato degli eventi sismici disastrosi come quello del 1857 e ancor prima del 1826, sino agli eventi più recenti del 1980 e ricordo che esiste un’ampia documentazione storico-scientifica sulla sismicità della Val d’Agri da aggiornare grazie alle nuove tecnologie. La Val d’Agri – ci ricordano i ricercatori – è una delle aree italiane a maggiore potenziale sismogenetico. Il recente sviluppo urbanistico, in particolare nella parte alta della valle (Villa d’Agri, Viggiano), e la presenza di infrastrutture legate all’attività di estrazione e raffinazione di idrocarburi contribuiscono ad accrescere il rischio sismico dell’area. Del resto l’allarme lanciato qualche anno proprio  dal prof. Franco Ortolani  non è stato ancora del tutto superato da studi e ricerche. «In Val d’Agri – sono parole del prof. Ortolani – si stanno raggiungendo profondità di oltre 4-5 km, e non si tratta solo di estrazione, ma anche di iniezione a forte pressione di fluidi per migliorare la produzione. L’iniezione ad alta pressione di questi fluidi fa sì che aumenti la permeabilità delle rocce, permettendo loro di insinuarsi nelle fratture, di fatto lubrificandole. È vero che i terremoti si generano a molti chilometri di profondità, come i 6 di quello più recente in Emilia, ma la porzione di crosta interessata dalla faglia attiva arriva fin quasi alla superficie. Se la parte superiore di questo ‘pacco’ di rocce viene destabilizzata dall’attività di decine di pozzi di estrazione e reiniezione, è chiaro che l’evento sismico è reso più probabile e distruttivo».

Condivo la sollecitazione dei sismologi per una maggiore trasparenza da parte delle società petrolifere, ma anche da quelle che si occupano di geotermia, che oggi tengono in gran parte riservati, considerandoli parte del loro capitale, i dati delle loro prospezioni geofisiche e delle loro attività di estrazione e reiniezione di fluidi, dati che sarebbero preziosi anche per valutare la connessione fra queste attività e la sismicità. E’ dunque necessario continuare l’attività di studio, analisi, monitoraggio, ricerca scientifica sulla relazione sismicità-attività petrolifera, utilizzando istituti (Cnr), Università, già presenti in Basilicata e facendo ricorso ad altri centri e professionalità che hanno condotto analoghe ricerche in Italia e in altri Paesi.

Quanto alla contemporanea (per coincidenza) esercitazione di protezione civile, essa ha una funzione significativa per esercitare una cittadinanza attiva, la quale sia capace di avvalersi di strumenti di conoscenza e diventi sempre più consapevole per rispondere alle emergenze connesse ai rischi presenti nel territorio in cui vive. Solo così la “resilienza”, ossia quella capacità di una comunità di far fronte agli eventi calamitosi derivanti dai vari generi di rischio (sismico, idrogeologico, meteorologico, industriale…) esce fuori da astrazioni verbali e diventa operativa  sul campo. E Viggiano è certamente una comunità che non deve solo fregiarsi del riconoscimento di “comunità resiliente”, ma lo deve essere sempre più di fatto, sia per l’alto rischio sismico che per l’ubicazione del Centro Olio nel suo territorio. Al raggiungimento di  questo obiettivo intende contribuire l’Associazione “Bene Comune”.

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