Un cambiamento del modello alimentare e una maggiore attenzione a chi adotta la “filiera corta” (prodotti locali) e soprattutto al rapporto qualità-prezzo: sono gli elementi che – secondo un’indagine del Centro Studi Turistici Thalia – caratterizzano il consumo del pasto fuori casa da parte dei lucani. Tra le novità: la carne viene segnalata in forte calo, così come l’uso del sale e del burro. Cresce significativamente il consumo di verdura, delle insalatone o dei piatti alternativi alla carne, mentre viene confermata una scarsa attenzione alla frutta. In controtendenza al ristorante il consumo di primi piatti (soprattutto della pasta che resta un pilastro del modello alimentare italiano), e dei dessert, legati al piacere della convivialità. L’aumento delle intolleranze alimentari, delle allergie e delle malattie metaboliche fa in modo che la ristorazione si attrezzi sempre di più per dare risposte ai consumatori con queste problematiche. Oltre i due terzi dei ristoranti intervistati dichiara di avere menù per chi ha specifiche esigenze di salute e/o intolleranze mentre sei ristoranti su dieci sono in grado di dare risposta a quei consumatori che hanno particolari esigenze dietetiche.
L’importanza della ristorazione nei consumi alimentari delle persone sta determinando una nuova sensibilità e responsabilità da parte delle imprese del settore, quantomeno in quelle basate su modelli di offerta più tradizionali. Partendo da questa consapevolezza si scopre che nella ristorazione i consumatori ricercano pietanze più leggere ma senza lo stress della lista delle calorie: il 59% dei clienti si dimostra poco interessato a conoscere questo aspetto.
E per quanto riguarda la tracciabilità e provenienza degli alimenti, la fiducia riposta dai clienti nei ristoranti selezionati fa in modo che questi aspetti non siano argomenti a cui prestare grande attenzione. Attenzione che viene assicurata dai ristoratori, i quali privilegiano sempre più la qualità dei prodotti e il rispetto dei cicli stagionali. L’uso di prodotti Dop e Igp è ormai una larga consuetudine: il 90% degli intervistati punta sulle filiere corte, mentre è in forte espansione l’uso di prodotti bio. L’84% dei ristoratori cambia il menù al massimo ogni 4 mesi. Il mangiare tipico lucano è alternato a menù non tradizionali e più creativi ma sempre con prodotti locali.
Un altro driver della ristorazione riguarda l’attenzione all’ambiente e al tema dello spreco alimentare. I pubblici esercizi sono sempre più sensibili ad una gestione sostenibile della propria attività, ad esempio limitando gli sprechi idrici, scegliendo lampade a led, elettrodomestici a basso consumo o ricariche per i detergenti.
Un aspetto particolarmente interessante riguarda la percezione del pranzo fuori casa da parte di chi lavora. Per un lavoratore su due è la qualità del cibo il punto di forza del pubblico esercizio dove consumare il pranzo. Sono molto importanti poi la vicinanza al luogo di lavoro, la rapidità del servizio e l’attenzione al portafogli. Risulta curiosa la percentuale di appena l’8,4% di chi ritiene importante la presenza di un POS all’interno del bar. Più significativa la segnalazione dell’uso dei buoni pasto (23,6%). In generale il pranzo si paga per di più in contanti (69,3%), ma oltre un quarto dei lavoratori intervistati privilegia la moneta virtuale.
Infine il prezzo: la fascia di prezzo per il pasto è tra i 10 e i 20 euro, anche se c’è maggiore attenzione al rapporto qualità prezzo e per chi dal 1 gennaio ha aumentato il costo fisso per quello equivalente a poco più di una tazzina di caffè la scelta viene riconosciuta dagli utenti affezionati come “ok il prezzo è giusto”. Un aumento di un euro non compensa nemmeno gli aumenti dei prodotti alimentari di qualità e i costi aziendali. E dunque meglio rinunciare ad un caffè che cambiare ristorante per un pasto che non offra le garanzie di genuinità e leggerezza per continuare la giornata.