Lavoro

Confesercenti: la contraffazione mina imprese settore abbigliamento


Le più recenti operazioni che Guardia di Finanza ed altre forze dell’ordine hanno effettuato a Potenza e in provincia contro le attività abusive del commercio ambulante e la contraffazione danno più forza alla battaglia avviata da Confesercenti ed Anva (Associazione Nazionale Venditori Ambulanti) perché secondo un nostro studio specifico il fatturato del commercio illegale è stimabile in 1,85 miliardi di euro (16,7% del fatturato complessivo), con un corrispondente mancato gettito fiscale e contributivo valutabile in 967 milioni di euro. La quota di operatori fuori legge in prossimità dei mercati per intercettare i clienti attratti dalle aree mercatali è stimabile in 15 operatori abusivi ogni 100 regolari. In Basilicata, secondo dati ufficiali del Mise, tra il 2008 e il 2015 sono state 972 le operazioni di sequestro materiale messo in vendita per complessivi 142.482 “pezzi” sequestrati.
E’ un danno enorme in particolare – commenta Giorgio Lamorgese, presidente Confesercenti Potenza – alle nostre imprese del dettaglio di abbigliamento, pelletterie e calzature.

Negli ultimi due anni i consumatori hanno ripreso a spendere nella moda, anche se il 27% segnala di spendere di meno per l’abbigliamento, soprattutto per ragioni di budget. Per la prima volta dal 2013, i consumatori che dicono di aver comprato prodotti di qualità medio-alta sono di più rispetto a quelli che hanno scelto abbigliamento low cost. La moda italiana ha risentito della crisi economica ma l’export va e i consumatori sul mercato interno fanno vedere segnali di ripresa. Il quadro viene da un sondaggio condotto da SWG per Fismo Confesercenti.
Il sondaggio – aggiunge Lamorgese – dice che “negli ultimi due anni il 62% degli italiani segnala un aumento della spesa rispetto al periodo della crisi”. I consumatori che si orientano verso prodotti di qualità medio-alta sono il 54% e superano per la prima volta dal 2013 la quota di italiani che si orienta invece verso l’abbigliamento low cost, pari al 42%. In recupero l’appeal dei negozi di moda: il 30% degli intervistati segnala infatti di aver aumentato la frequenza con cui comprano nei negozi, una percentuale superiore anche all’online (20%) e outlet (17%).
Le difficoltà però non sono finite. Il 27% degli italiani, più di uno su quattro, dichiara di stare ancora tagliando i consumi di moda, soprattutto per ragioni di budget. Il 40% di chi negli ultimi due anni ha speso di meno segnala difficoltà economiche, mentre il 23% afferma di aver deviato le risorse su altre spese improrogabili (tasse, multe, debiti) e il 17% dice di essersi indirizzato verso prodotti a basso costo. Ancora tra il 2011 e il 2015 sono spariti oltre 30 mila negozi di moda, fra abbigliamento e accessori.

“Il made in Italy della moda è un successo nel mondo, ma in Italia, paradossalmente, si trova ancora in una situazione di fragilità – commenta Roberto Manzoni, presidente Fismo Confesercenti – I flebili segnali di speranza raccolti nell’ultimo anno, che ancora non si sono trasformati in ripresa effettiva, vanno però rinforzati. La politica deve riconoscere il ruolo fondamentale di questo settore. Chi investe nella moda deve poter contare su credito, formazione e su una regolamentazione chiara su vendite on line, outlet, saldi e contraffazione”. Per gli esercenti va scongiurato l’aumento dell’Iva. Dice Manzoni: “Riteniamo assolutamente necessario bloccare gli aumenti Iva previsti dalle clausole di salvaguardia, che farebbero salire di oltre 2 punti l’aliquota per i prodotti d’abbigliamento e accessori: sarebbe un grave colpo ai consumi di moda, difficile da recuperare”.

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