Petrolio in Val d'Agri e Valle del Sauro

Basta petrolio, la Lucania ritorni alle sue risorse naturali idriche e ambientali


Di questa lunghissima storia sul petrolio, di un infinito inquinamento continuo di sostanze cancerogene e di tanti Bla Bla senza fatti, ormai i Lucani probabilmente ne hanno le tasche piene e vivono sull’orlo di uno sfiancamento totale. Di questo Totem Nero, tanto per mutuare il titolo del bellissimo resoconto non solo storico del professore Enzo Vinicio Alliegro, la gente, che vive a stretto contatto con fumi, odori malsani, rumori e, soprattutto, con percentuali sempre in aumento di malattie tumorali che colpiscono non solo uomini e donne, ma anche i bambini, la nostra prossima generazione, vuole che la politica diventi momento di autorevolezza e dichiari in maniera decisa e definitiva che del petrolio la Lucania non sa che farne, visti anche gli attuali prezzi al barile.. In verità però la colpa è da attribuire un po’ anche a noi stessi lucani, i quali in tempi lontani abbiamo visto nel petrolio la cosiddetta fonte miracolosa della ricchezza. Tanto per rimembrare alcuni documenti storici del tempo, come ricorda chiaramente lo stesso Alliegro, il tutto partì da Tramutola, paese dell’alta Valle D’Agri, dove la presenza di idrocarburi, pare fosse presente dai tempi dei tempi. Di lì partì la voglia di arricchirsi quando ci si convinse che quelle macchie nere che fuoriuscivano dalla terra non era un prodotto di medicamento per le pecore ma petrolio. Una lunga storia di scavi perforazioni in quasi tutta la Lucania alla ricerca spasmodica del così chiamato oro nero, dimenticando totalmente che dai tempi dei temi in Lucania era presente un diverso tipo di oro incolore chiamata acqua. La ricchezza al primo posto e poi ambiente e salute. Ora che la consapevolezza, forse anche la conoscenza e le tante morti che ci portiamo sulle nostre coscienze, ha permesso di sollecitare l’emisfero destro e sinistro del nostro intelletto ecco le prese di posizioni, alcune sbagliate, altre di apparenze, ma sostanzialmente tutte rivolte verso il desiderio di smantellare questa imposizione delle lobby politiche e dei centri di potere finanziario che è la rovina delle nostre genti.

Ecco allora che il resoconto chiamato VIS, Valutazione di Impatto sulla Salute, pare essere un documento importante e di svolta perché certifica in maniera chiara e indiscutibile che il petrolio sarà la morte della nostra terra. Era il 2009, raccontano le righe del documento composto di ben 23 pagine, quando i Comuni di Viggiano e Grumento Nova, per una cifra di un milione e duecentomila euro decidono di costituire una commissione per avviare studi sugli effetti della presenza del Centro Olio Val D’Agri sulla salute e soprattutto sulla corretta informazione alle comunità interessate sui vari rischi ambientali e sanitari. Il Cova, va ricordato, è una struttura di primo trattamento del greggio situato nella zona industriale di Viggiano, al confine con il territorio di Grumento Nova da oltre 20 anni interessato da attività di estrazioni petrolifere. Il 2014 vede l’avvio operativo dei lavori della commissione che si conclude il 14 luglio 2017. Lavori di osservazione, di controllo e di indagine portati avanti da un team composto da circa 30 ricercatori con la collaborazione di tre istituti del CNR, dell’Università di Bari e del dipartimento di epidemiologia, udite udite, del Servizio Sanitario della Regione Lazio. I dati si ipotizzavano ma non si conoscevano nella loro cruda realtà. La mortalità e i ricoveri nella zona interessata dalle ricerche, tra il 2000 e il 2014, sono superiori alla media della regione. La ricerca, nello specifico, ha consentito di stabilire che i dati della mortalità e/o dei ricoveri sono legate a malattie del sistema circolatorio e respiratorio. Dal punto di vista ambientale si sono studiati i composti organici volatili presenti intorno all’impianto del COVA potenzialmente dannosi per l’uomo. In più le percentuali snocciolate dai ricercatori hanno evidenziato che le sostanze inquinanti emesse dai camini, come si legge nel documento l’idrogeno solforato e gli ossidi di azoto, si diffondono fino a molti chilometri di distanza andando ad impattare con i Comuni limitrofi in direzione est nord-est. Una quantità di numeri e percentuali certificati che avvertono noi tutti che il territorio da anni vive uno stato continuo di disagio e di allarme ambientale, sociale e civile. Importante però nell’insieme del documento è quello che si legge nel capitolo 9– “Indagine sulla percezione del rischio e sull’accesso alle informazioni”. La gestione del rischio comprende una continua comunicazione e circolazione di informazioni e si basa sulla trasparenza ed efficienza degli attori coinvolti. Questo il punto di partenza dei ricercatori. Cioè la gente interessata conosceva il rischio? È stata informata nello specifico del rischio? L’indagine basata su percentuali di ascolto delle persone interessate, oltre 200 reclutate tra i Comuni sottoposte alle ricerche, ha messo in luce una percezione del rischio elevata ma, tanti, molti hanno una scarsa fiducia nel ruolo informativo dell’amministrazione pubblica. Circostanza gravissima. Le amministrazioni pubbliche, in questo caso enti pubblici regionali pare non informino a dovere e preventivamente il proprio cittadino. Con i risultati ci sono le raccomandazioni che il team di ricerca detta ai Comuni interessati. Ripetere nel tempo il monitoraggio dell’esposizioni delle persone interessate, valutare i dati sanitari su base annuale, sviluppare attività permanenti di informazione, comunicazione e formazione su ambiente e salute. Altro i ricercatori non possono dire e fare visto la competenza attribuita. La politica invece, quella vera, orgogliosa della propria Regione, della propria terra e della propria gente, quella può andare oltre e dire in maniera definitiva No al Petrolio. In alternativa se proprio fosse impossibile allora che la politica vera e competente chiarisca una volta per tutte che le percentuali sul valore della produzione di idrocarburi pagate dalle compagnie, le cosiddette royalties che attualmente sono quantificate nel 7% (in Africa pare oltre il 45%) vanno aumentate almeno fino al 30% per i 38 pozzi esistenti sul territorio. I ricavi debbono essere utilizzati per il 50% al risanamento ambientale. Il restante per la costruzione di infrastrutture per una regione che ne è deficitaria. Ora che i Lucani conoscono sono avvertiti. Su un suolo tra castagni secolari e sorgenti di acqua, in certi tratti, non più limpida è necessario avere la giusta consapevolezza che tra i mali del nostro territorio, quello sismico idrogeologico, il petrolio è quello che può essere eliminato o ridimensionato secondo regole precise e rigide. Lo dobbiamo fare ora.

FONTE: Oreste Roberto Lanza – BASILICATANOTIZIE

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