Società e Cultura

Ragazzi che uccidono i genitori e i gravi disturbi di personalità narcisistica o antisociale


Non tiene conto del fatto che questo tipo di crimine è sempre esistito, dalla Bibbia e dalla tragedia greca (pensiamo ai delitti di familiari ad esempio di Edipo, Oreste, Elettra o Medea) in poi.

La prof. Liliana Dell’Osso, di Bernalda, direttore della clinica psichiatrica dell’Università di Pisa e vicepresidente della Società Italiana di Psichiatria è l’unica lucana presente nella banca dati online con i profili di cento esperte nelle aree scientifiche, secondo il progetto “100 donne contro gli stereotipi”. La banca dati, realizzata grazie al supporto della Commissione Europea e della Fondazione Bracco, nasce come uno strumento per aiutare i professionisti della comunicazione nella ricerca di fonti femminili competenti, ed è anche una risorsa per chi vuole dar spazio alle voci di esperte autorevoli nei dibattiti scientifici dentro e fuori dai media. Il suo autorevole pensiero sulla vicenda che continua a sconvolgere l’opinione pubblica.

A seguito di fatti di sangue come quello di Pontelangorino è evenienza tanto comune quanto comprensibile cercarne le cause nell’attualità. Pensare che i giovani di oggi siano capaci, più di quelli di ieri, di compiere gesti aberranti, permette infatti in qualche modo di prendere le distanze, di delimitare spazio-temporalmente l’abominio, in modo da escludere di farne parte. E’ anche rassicurare noi stessi che quel gesto non solo non avremmo mai potuto compierlo, ma anche che esso non potrebbe mai essere causato da una pulsione, normale o deviante che sia, se non tramite l’intervento di catalizzatori esterni. E così, se nel Medioevo veniva chiamato in causa il diavolo, oggi, in modo solo apparentemente più razionale, viene puntato il dito ad esempio contro i videogiochi violenti o l’uso smodato di internet, che assurgono alla categoria di “male assoluto” delle nuove generazioni. Questa modalità di pensiero, atta a proteggerci cognitivamente da eventualità che ci spaventano fino a prendere la forma di un “trauma sociale”, non tiene conto del fatto che questo tipo di crimine è sempre esistito, dalla Bibbia e dalla tragedia greca (pensiamo ai delitti di familiari ad esempio di Edipo, Oreste, Elettra o Medea) in poi. Studi recenti sottolineano quanto non fosse un fenomeno sconosciuto anche nel nostro passato storico più recente: già nell’Europa Sei-Settecentesca compaiono documentate disquisizioni legali, protopsichiatriche, del problema.

Ma se non si tratta di una novità, di un male del nuovo millennio, quali possono essere i fattori che entrano in gioco in atti così estremi da far sorgere sulla bocca dei più la parola “innaturale”? Si tratta di un problema complesso, e la soluzione non è unica.

Certo si tratta di un comportamento raro, oggi come ieri più frequentemente messo in atto da adolescenti di sesso maschile, che spesso uccidono le proprie vittime con ferite letali alla testa. Oltre alla possibilità di gravi disturbi mentali in fase di scompenso acuto, si deve sottolineare l’importanza di una storia di abusi infantili. Maltrattamenti nell’infanzia sono infatti particolarmente frequenti negli adolescenti autori di patricidio o matricidio, spesso misconosciuti perché celati dalle stesse vittime (divenute poi carnefici). Ovviamente, una risposta di un simile grado di violenza non può essere letta alla stregua di un semplice desiderio di vendetta, o di ricerca di fuga da una situazione di sofferenza con un gesto estremo, ma va valutata soprattutto nell’ottica del danno neurobiologico che il trauma ripetuto degli abusi provoca nel cervello. Lo stato di intorpidimento e di estraneità verso l’ambiente esterno e verso gli altri, con incapacità di provare emozioni (c.d. numbing), che consegue al trauma, può effettivamente generare quel distacco emotivo che permette di concepire e mettere in atto un crimine “a sangue freddo” contro un congiunto. Sembra inoltre che l’esposizione precoce allo stress in un cervello in via di sviluppo possa alterare la capacità di apprendere tramite i meccanismi della punizione, con conseguenti persistenti comportamenti antisociali.

Vi è inoltre il problema della particolare fase evolutiva del cervello adolescenziale, in cui il circuito del controllo cognitivo, inibitorio sui comportamenti impulsivi, è ancora in via di sviluppo. Va comunque notato che la maggior parte dei soggetti che subiscono abusi in età infantile non perpetua violenza sul genitore (secondo uno studio statunitense, un bambino vittima di abusi su duemila ucciderà il proprio padre o la propria madre), sottolineando la presenza di altri elementi in gioco (d’altra parte non tutti gli adolescenti autori di omicidio hanno una storia di abusi), quali, in primis, gravi disturbi di personalità narcisistica o antisociale, caratterizzati da assenza di rimorso sulla base di un deficit dell’empatia e dell’immedesimazione, che compromette la capacità di comprendere le emozioni, i pensieri e i comportamenti degli altri. Ipersensibili alle sollecitazioni esterne, a cui si espongono di più a causa dell’ignoranza delle norme sociali, questi soggetti sono predisposti ad ulteriori condotte antisociali, scatenate anche da stimoli banali (una critica, un rimprovero per un brutto voto) in un circolo vizioso potenzialmente infinito e ingravescente, a cui non è estraneo l’abuso di sostanze psicoattive.

 Prof. Liliana Dell’Osso, direttore della clinica psichiatrica dell’Università di Pisa e vicepresidente della Società Italiana di Psichiatria

FONTE ILMATTINODIFOGGIA.IT

 

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