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Bilancio e Royalties, la Regione Basilicata faccia chiarezza


Durante l’udienza del 9 novembre 2016, la sezione regionale di controllo della Corte dei conti, in giudizio sul rendiconto generale della Regione Basilicata per l’esercizio finanziario 2015, ha deliberato la non parificazione dello schema di rendiconto generale per l’esercizio 2015 perché inficiato di veridicità e sostenibilità.

È la prima volta che il bilancio della Basilicata non viene approvato dal 2012, anno in cui, come si legge nella rendicontazione: «Ai sensi del comma 5 dell’art. 1 del D.lgs 174/12, convertito con modificazioni nella legge 7 dicembre 2012 n.213 e successive modifiche ed integrazioni “il rendiconto generale della regione è parificato dalla sezione regionale di controllo della Corte dei conti ai sensi degli articoli 39, 40 e 41 del testo unico di cui al regio decreto 12 luglio 1934, n. 1214” ».

All’interno della relazione redatta dall’organo in questione, il capitolo 4.5 nelle sue 30 pagine descrive la “gestione dei rapporti con le autonomie territoriali regionali” e nello specifico l’utilizzo delle royalties e la loro destinazione a favore del territorio lucano.

Si ricorda che le royalties rappresentano il valore, in denaro, calcolato sulla produzione di idrocarburi che ciascuna compagnia deve corrispondere allo Stato. Per i giacimenti su terraferma equivalgono al 10% del valore generato dall’attività estrattiva; per i giacimenti in mare, invece, sono del 10% per i siti dove si estrae gas e del 7% per le piattaforme petrolifere.

A decorrere dal 1° gennaio 1997, l’art. 20 del D.lgs 25 novembre 1996, n. 625, riserva alle regioni a statuto ordinario, per ciascuna concessione di coltivazione situata in terraferma, il valore dell’aliquota (calcolato nella misura del 7% della quantità estratta) corrisposto per il 55% alla regione a statuto ordinario e per il 15% ai comuni interessati, restando a favore dello Stato il rimanente 30%. Ma, a decorrere dal 1° gennaio 1999, alle regioni a statuto ordinario del Mezzogiorno è corrisposta, per il finanziamento di strumenti della programmazione negoziata nelle aree di estrazione e adiacenti, anche la restante parte dell’aliquota (30%) che era riservata allo Stato. Ciò vuol dire che ad usufruire di questo ulteriore 30%  sono i comuni e non la Regione in sé. A quest’ultima, oltre al 55% (del 7%) è riservata, dal 2009, un ulteriore 3% (quella che una volta veniva chiamata bonus card).

In sintesi il 55% rimane corrisposto alla Regione che può utilizzare i fondi per qualsiasi opera o finalità all’interno delle proprie mura, il 15%, viene corrisposto ai comuni dove si trova il pozzo estrattivo (ad esempio Viggiano), mentre, il 30% dovrebbe essere suddiviso solo ed esclusivamente tra i comuni dove si estrae petrolio e gas e i comuni limitrofi i giacimenti petroliferi.

Per intenderci, se il giacimento “Tempa Rossa” sito nei pressi di Corleto Perticara interessa anche i comuni di Stigliano, Gorgoglione, Accettura, Cirigliano e Pietrapertosa, perché i territori sono confinanti, comuni come Aliano e Sant’Arcangelo (per citarne alcuni) dovrebbero essere tagliati fuori e di conseguenza non ottenere tali risorse.

Fin qui nulla di strano, se non fosse per un dettaglio non di poco conto. Come si legge nella relazione:

“La Corte dei conti ha chiesto alla Regione Basilicata di indicare, per ciascuno degli anni 2012, 2013, 2014 e 2015: Titolo, Tipologia, Categoria e Capitolo di allocazione delle risorse derivanti dalle royalties da idrocarburi e relativo ammontare, cioè non soltanto quanto è stato incassato, ma anche come è stato speso, mentre, con riferimento alle royalties da idrocarburi destinata allo Stato (30% dell’aliquota del 7%) e corrisposta alla Regione (comma 1-bis, art. 20 del D.lgs. 625/96) di dettagliare sia gli importi impegnati, sia quelli effettivamente corrisposti ai comuni di Accettura, Castelmezzano, Cirigliano, Pietrapertosa e Stigliano.

Infatti, con D.G.R. n. 428 del 05.04.2012 è stato approvato un secondo Accordo di Programma, che integra quello denominato P.O. Val d’Agri, ai sensi del quale viene:

– incrementata la dotazione originaria (350ml) per l’importo di Euro 15.726.148,00 da destinare ai comuni di Accettura, Castelmezzano, Cirigliano, Pietrapertosa e Stigliano e alle due Province;

– stanziata la somma di Euro 542.258,64 per la predisposizione dei Documenti Programmatici Comunali.

– “pre-impegnata la somma complessiva di €162.667,59 quale prima anticipazione pari al 30%…” della somma stanziata.”

Ad oggi, si legge nella relazione, risulta che i comuni di recente inclusione (Accettura, Castelmezzano, Cirigliano, Pietrapertosa e Stigliano), a differenza degli altri 30 comuni per i quali la quasi totalità degli interventi programmati è avviata verso la conclusione, sono fermi alla fase di approvazione dei documenti di Programmazione per mancanza di risorse.

Fermiamoci un attimo ad analizzare la situazione. Se la legge riserva a questi territori il citato 30% del 7% perché si sostiene che non ci siano le risorse?

Ciò vuol dire che la Regione ha utilizzato per altre finalità, e contrariamento a quanto dice la legge, le royalties a tutto vantaggio di altri territori o comunità e comunque per altre finalità, mentre ai territori individuati dalla legge si è chiesto, o forse più correttamente, nei fatti, si è imposto, un ulteriore sacrificio: oltre all’inquinamento e la povertà.

Proviamo a fare due calcoli: la Regione, grazie all’attività estrattiva ha incassato dal 2001 al 2015 la straordinaria cifra di 1.285.319.185, 76 euro. Di questi, secondo quanto riportato nella relazione della Corte dei conti, 453.642.066 dovevano essere destinati ai comuni dall’area estrattiva. La Regione, invece, ha assegnato 350 milioni (non si conosce quanti di questi siano stati effettivamente spesi) ai 30 comuni della Val d’Agri, e 15 milioni (virtuali, perché mai realmente giunti nelle casse) agli ultimi 5 comuni.

In realtà, come detto, la somma che doveva essere corrisposta dalle Regioni ai comuni è pari a  circa 453 milioni di euro, quindi, a conti fatti mancano assegnazioni pari a 118 milioni di euro.

Con queste risorse, tanto per fare un esempio, è lecito pensare che si sarebbe potuto mantenere integra l’offerta sanitaria di Villa d’Agri (per altri anni) anziché essere ridimensionata e a tutto vantaggio di altri ospedali?

Michele Ungolo

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